TITOLO: Il ritorno di Sherlock Holmes
DI: Sir Arthur Conan Doyle
PREZZO: 2 €
Sono molto in imbarazzo nello scrivere la recensione di questo libro. Non perché sia brutto, eh. Anzi. Ma perché Sherlock Holmes è un classico. Avanti, cosa posso dirvi di nuovo che non sappiate già? Come posso dirvi cosa troverete in questi racconti, quando sappiamo già perfettamente tutti cosa aspettarci da un racconto di Sherlock Holmes? E come faccio a parlarvi di questi racconti gialli senza sciuparvi il finale, guastando tutta la suspense?
Diciamolo, poi, questa non dovrebbe neppure essere una recensione, perché in realtà si tratterebbe di un articoletto che spieghi quant'è bello questo libro e perché io vi consigli caldamente di acquistarlo.
Perciò parlerò di un'altra cosa che mi ha colpito mentre ero alle prese con questa terza raccolta di racconti che, per inciso, è quella dove lui “risuscita”. Vi ricordate che alla fine della seconda raccolta, Le memorie di Sherlock Holmes, il nostro eroe moriva per mano del perfido professor Moriarty? Bene, nel primo racconto di questo libro scopriremo come e perché si è invece salvato.
Ma non divaghiamo e torniamo al libro in questione e a quel che mi ha colpito, vale a dire il dottor Watson.
Mentre lo traducevo, e mentre lo rileggevo, ogni tanto mi veniva voglia di andar lì a dirgli: “Ma possibile che tu non debba capire mai niente?”
Perché il poveretto non ci prende mai, mai una volta, neppure per caso. E se azzarda un'ipotesi su un caso, possiamo star certi che è l'ipotesi sbagliata.
Secondo me Holmes se lo tiene accanto solo per avere qualcuno da maltrattare o da prendere in giro quand'è di cattivo umore.
Watson non coglie mai gli indizi. Li ha davanti agli occhi, perfino noi li vediamo, ma lui niente. Bisogna proprio indicarglieli e sottolinearglieli con l'evidenziatore perché li noti.
Gli spiegoni finali di Holmes servono proprio a questo.
Watson è un romantico inguaribile. Se una bella donna racconta una balla qualsiasi lui ci crede. Si lascia ammaliare e ci cade con tutte le scarpe. Se fosse lui il detective, tutte le ladre e le assassine minimamente avvenenti di questo mondo avrebbero vita facile. Non dovrebbero far altro che sbattere le ciglia e mormorare “Sono innocente!”, magari simulando uno svenimento, e lui ci crederebbe, crederebbe a tutto.
Watson va a simpatie: se un tizio ha una faccia da cattivo, magari, poverino, è anche bruttarello, o comunque gli riesce antipatico per un qualunque motivo, allora è facile che per lui sia anche colpevole. Come in quei fumetti per bambini dove si capisce fin da subito chi è il nemico perché è l'unico con la faccia perennemente ingrugnata.
Watson tendenzialmente è anche un po' classista. Quando si trova davanti un personaggio nobile, potente, altolocato, illustre, o queste quattro cose insieme, si dimostra estremamente deferente ed è probabile che il suo giudizio critico venga meno e che tenda a considerarlo innocente nonostante tutti gli indizi raccolti da Holmes dimostrino il contrario.
Watson è spesso superficiale. Lui non sa leggere gli indizi. Pensa di aver imparato a farlo, dopo tanti anni passati accanto a Holmes, ma non è così. Infatti spesso si trova d'accordo con i risultati della polizia ufficiale e, come tutti sappiamo, nei racconti di Sherlock Holmes la polizia ufficiale non individua mai la pista giusta.
Ma Watson una sua utilità ce l'ha, oltre a quella di valvola di sfogo per i malumori di Holmes e di pietra di paragone per l'enorme ego del nostro detective (ci avete mai riflettuto che se Sherlock Holmes appare tanto in gamba è perché risalta nel confronto con l'inetto Watson?), ovvero serve da biografo.
Se i racconti di Sherlock Holmes sono leggibili è perché li scrive Watson. Se li scrivesse Holmes sarebbero dei trattati pedanti e aridi, assolutamente noiosi e decisamente tecnici. Li leggerebbero in quattro gatti: lui, suo fratello Mycroft, Lestrade e forse il giovane ispettore Stanley Hopkins. Basta.
E poi ammettiamolo: Watson siamo noi lettori. Quei lettori che vogliono lasciarsi incantare dal talento quasi magico di Sherlock Holmes, che sgranano gli occhi per la sorpresa quando lui rivela un indizio fondamentale a cui noi mai avremmo dato peso, che si alzano in piedi e battono le mani quando il detective svela che il colpevole è proprio quello di cui mai e poi mai avremmo sospettato.
Sì, lo so, a noi piace tanto pensare che invece noi dovremmo essere il detective. Che la soluzione del caso l'avevamo trovata anche prima dello stesso Holmes, figuriamoci del povero dottor Watson.
Eh, ma è facile dirlo quando già conosciamo lo stile dei racconti, quando stiamo comodamente “qua fuori”, a guardare e giudicare dall'esterno. Ma provate un po' a immaginare di trovarvi davvero in quelle situazioni.
Io non ho dubbi, se mentre sono qui a leggere mi sento più abile di Holmes, se finissi dentro una di quelle storie diventerei il peggior Watson.
E non so neppure se avrei il suo talento nel raccontarle, dopo...
RACCONTI PRESENTI IN QUESTO EBOOK:
L'avventura della casa vuota
L'avventura del costruttore di Norwood
L'avventura degli omini danzanti
L'avventura della ciclista solitaria
L'avventura della Priory School
L'avventura di Pietro il Nero
L'avventura di Charles Augustus Milverton
L'avventura dei sei Napoleoni
L'avventura dei tre studenti
L'avventura dei pince-nez dorati
L'avventura del trequartista scomparso
L'avventura di Abbey Grange
L'avventura della seconda macchia
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