P.L. Travers interpreta Titania nel Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare. |
Il dilemma nasce mentre sto lavorando a un libro, un libro che mi piace, preciso, perché io non pubblico mai roba che non mi piace a costo di diventare autolesionista. E in quel libro che mi piace m'imbatto in un punto che non mi piace per niente.
La prendo alla lontana. Comincio da Mary Poppins. Non il film supercalifragilistichespiralidoso, ma i libri. I libri di Mary Poppins sono della scrittrice Pamela Lyndon (ma lei preferiva un più neutro P.L.) Travers e il primo è uscito nel 1934.
In quel libro c'era un episodio (che nel film non c'è e quindi è inutile che stiate lì a scervellarvi per cercare di ricordarvelo) che girava tutto intorno al fatto che Michael Banks un mattino s'era svegliato di cattivo umore e con tanta voglia di essere discolo e disubbidiente. L'episodio proseguiva con loro che trovavano una bussola magica e che Mary Poppins portava i fratellini Banks a fare un rapido giro del mondo per i quattro punti cardinali. E in ogni punto cardinale incontravano “tipi umani” caratteristici. A Est incontravano un mandarino (non il frutto) cinese con tanto di codino, a Nord una famiglia di esquimesi, a Sud una famigliola di africani e a Ovest i pellerossa. Con tutti loro, i bambini giocavano e si divertivano, ma una volta tornati a casa Michael, che era appunto scorbutico e malmostoso, rubava la bussola e decideva di rifare il viaggio per conto proprio. Però stavolta gli andava male perché le stesse persone con cui aveva giocato prima si rivelavano ora perfide e crudeli e lo minacciavano apertamente, finché non arrivava Mary Poppins a tirarlo fuori dagli impicci.
Nel 1934 quest'episodio non suscitò alcuno scalpore. Ma solo qualche decennio più tardi la descrizione così stereotipata dei personaggi venne considerata razzista e l'autrice, non so se per scelta propria o altrui, lo riscrisse sostituendo le varie etnie con animali della stessa zona geografica.
Ecco, io, lavorando con autori e libri “vecchi” m'imbatto spesso in episodi che oggi non sarebbero più ammissibili. Per esempio, ricordo ancora di essere saltata sulla sedia per lo sgomento quando in un episodio della serie “Anna dai Capelli Rossi” lei rideva per una lettera che il piccolo Davy le scriveva da casa, nella quale le raccontava col suo linguaggio sgrammaticato del vicino che aveva ammazzato il proprio cane impiccandolo a un albero. E doveva essere un episodio buffo!!!
Invece adesso mi sono imbattuta in una frase decisamente razzista. Nel 1891, anno in cui uscì il libro al quale sto lavorando, quella frase non avrebbe fatto inorridire nessuno. Ma fa inorridire me adesso (e mi auguro faccia inorridire anche i miei lettori). La frase probabilmente è anche riportata e non fa riferimento (spero!!!) direttamente ai pensieri dell'autrice, ma c'è ed è molto ambigua.
E mi ha fatto bloccare a metà dal mio lavoro, appunto col mio dilemma. Che fare? Lasciar perdere e non pubblicare più il libro? Peccato, perché per il resto è bello, molto bello. Censurare la frase incriminata? Ma non sarebbe corretto. Forse farò come ho fatto le altre volte, e mi dissocerò da quelle idee con una nota a margine, augurandomi sentitamente che i miei lettori non le condividano.
Perché per fortuna con l'aumentare della coscienza certe cose che cento e passa anni fa erano tollerate e condivise, adesso eticamente non sono più pensabili.
E mi nasce anche una riflessione: ma fra le cose che scriviamo adesso, che a noi paiono normali e innocue, quante fra cent'anni verranno considerate intollerabilmente offensive?
Ci avevate mai pensato?
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