TITOLO: Tre racconti italiani
DI: E.T.A. Hoffmann
Ernst Theodor Wilhelm Hoffmann (1776 – 1822) (meglio noto come E.T.A. Hoffmann, perché lui sostituì il Wilhelm con un Amadeus in omaggio a Mozart) è uno scrittore, ma anche compositore, critico musicale, vignettista, redattore e avvocato tedesco. Faceva, insomma, tantissime cose. Ma è soprattutto come scrittore che lo conosciamo oggi. Per i melomani è noto soprattutto come protagonista di un'opera, del 1881, di Jaques Offenbach: i Racconti di Hoffmann, non a caso.
Al punto che molti di quelli che conoscono solo l'opera, pensano che sia un personaggio di fantasia.
Invece è esistito davvero, e di fantasia ne aveva da vendere (uno che scrive la propria autobiografia immaginando d'essere un gatto, per esempio, deve avere molta fantasia. E anche qualche rotella svitata, forse...).
Di fatto è stato un vero precursore proprio per quanto riguarda la letteratura fantasy, ed è assolutamente sconvolgente per me pensare che tra i tanti appassionati di libri fantasy di oggi, solo pochissimi sappiano chi fosse Hoffmann.
Certo, se per voi “fantasy” vuol dire solo “orchi, elfi, draghi, battaglie” e via discorrendo, allora vi dico subito di lasciar perdere: Hoffmann non fa per voi. Se invece siete lettori impavidi che non temono di affrontare qualcosa di un pelino più sofisticato e diverso dalle solite trame già percorse, se non temete di affrontare l'ignoto con qualcosa che potrebbe non prendere la piega del filone che v'aspettate (chissà, magari vien fuori perfino che vi piace) allora continuate a leggere.
Questi tre racconti, però, non ricadono (non del tutto) nel filone fantasy, bensì in quello avventuroso.
Eh, sì, vi ho fregato. Solo per ora, però, perché poi arriveranno anche altri suoi libri coi tanto sospirati racconti fantasy: anzi, vi dico subito che Hoffmann è uno dei miei scrittori preferiti, che adoro semplicemente i suoi racconti fantastici e che lo difenderò a spada tratta da ogni detrattore o da chiunque oserà dire che è uno scrittore superato e/o (a scelta) che nessuno lo conosce ...
I tre racconti di questa breve raccolta sono i seguenti:
1- Il violino di Cremona
2- Salvator Rosa
3- Marin Faliero
Come parlarvene senza guastarvi il finale? E soprattutto, come trasmettervi l'entusiasmo che ho io per questo tipo di racconti così, se vogliamo, démodé? "Certo", direte voi, "tu dici che libri così sono belli perché devi venderli. È naturale. L'oste ti dice che il suo vino è buono anche quando fa schifo!"
E invece no (ma per chi mi avete preso?). È il contrario: io questi libri li pubblico (e quindi sì, cerco anche di venderli) perché mi piacciono. Mi piacciono da decenni prima che mi venisse in mente di pubblicare qualcosa. Io pubblico solo libri che mi piace leggere, e non potrebbe essere altrimenti. Purtroppo ho un grave difetto: riesco a lavorare solo alle cose che mi piacciono. Il mio senso del dovere non è tanto forte da permettermi di lavorare a cose che non mi piacciono. Ecco perché probabilmente finirò col non pubblicare mai libri “di tendenza” (a meno che per puro caso la moda libresca non cada proprio sulle cose che piacciono a me), e perché non diventerò mai ricca come vorrebbe mia mamma. Perché malauguratamente ho dei gusti un po' eccentrici, in fatto di narrativa.
Ma torniamo ai nostri racconti, sennò qui facciamo notte.
Il primo racconto è quello che ha dato spunto all'episodio di Antonia dell'opera di Offenbach (chi conosce l'opera ha già capito). È un racconto che gira attorno all'amore e alla musica, e all'amore per la musica. Come spesso accade con Hoffmann, il protagonista/narratore si trova coinvolto suo malgrado in una storia misteriosa, probabilmente più grande di lui. C'è il consigliere Krespel, un uomo veramente bizzarro che costruisce violini e vive con Antonia, una fanciulla bellissima che, a detta di tutti, canta divinamente bene. Ma in che rapporti sono i due? E come mai, dopo un'unica, indimenticabile volta in cui il canto sublime di Antonia ha incantato tutto il paese, Krespel proibisce in tutti i modi alla ragazza di cantare, nonostante tutti cerchino di spingerla a farlo? Il narratore dovrà scoprire dolorosamente che la verità non è quella banale e scontata che immaginava lui, bensì una più profonda e tragica (andate qui se desiderate leggere qualche riflessione in più e non temete gli spoiler).
Gli altri due racconti sono un po' come cartoline. Il primo è ambientato a Roma nel Seicento e l'ultimo a Venezia nel Trecento. Rappresentano l'Italia (e gli italiani) come potrebbe immaginarsela un turista romantico. Non solo nel senso della corrente letteraria. Cosa si aspetta un turista di trovare a Venezia? Piazza San Marco, naturalmente. Che altro? Palazzo Ducale? Le gondole? Il carnevale? I gondolieri che cantano? Ecco, in Marin Faliero tutto questo c'è, direi che mancano solo i piccioni e i souvenir a forma di gondola.
Ma c'è anche dell'altro.
È la storia, molto romanzata, di Marin Faliero che, nominato Doge alla tenera età di ottant'anni, decide di sposare una dolcissima e bellissima diciannovenne. E se l'idea dell'uomo di potere anziano che si accompagna a una giovanissima bellezza vi fa venire in mente qualcosa, probabilmente è perché non si tratta di una novità dei nostri giorni. Ma se l'anziano Marin sposa la dolcissima Annunziata perché la sa dolce, remissiva e inesperta del dolce gioco dell'amore (così come gli ha garantito il bisnonno della fanciulla, nonché braccio destro del Doge), si sbaglia. Perché anche se giovanissima, Annunziata ha fatto già in tempo a innamorarsi, e di qualcuno che non è certo un coetaneo del suo bisnonno. E dall'altra parte c'è Antonio, un poverissimo (e bellissimo) scaricatore ed ex gondoliere che a causa di un trauma ha dimenticato del tutto la sua infanzia, che sicuramente era tutt'altro che povera e misera. Ma chi erano i suoi genitori? E come mai li ha perduti e si è ritrovato in quelle tristi condizioni? E qual è il legame fatale e carico di passione che lo unisce alla bella Annunziata? È quel che dovrà scoprire, aiutato da una strana mendicante che ha tutta l'aria di possedere poteri magici.
La “cartolina” da Roma, ovvero Salvator Rosa, viaggia invece sulle trame della farsa e della burla. Salvator Rosa è stato un grande pittore del Seicento, ma era anche musicista e attore, dalla vita avventurosa e spesso avvolta nel mistero. In questo racconto si trova a dover aiutare un suo amico e collega, Antonio (per una misteriosa coincidenza, i protagonisti di questi tre racconti hanno tutti lo stesso nome). Antonio è un pittore di talento che però, ahimè, è perdutamente innamorato di una fanciulla difficilissima da raggiungere. Non perché lei sia ritrosa o sprezzante, ma perché Pasquale Capuzzi, il suo anziano zio e tutore (la poverina è orfana) è innamorato di lei e ostacola la sua unione col pittore. Ci vorranno tutte le fantasiose astuzie di Salvator Rosa per ingannare, spesso in modo decisamente ridicolo e audace, quello sciocco, vecchio innamorato e aiutare la fuga d'amore dei due giovani. Tra burle, travestimenti e messe in scena, la realtà si fonderà con il teatro facendo precipitare il povero e vanesio signor Pasquale in un turbinio di rivelazioni dal quale gli sarà difficile districarsi.
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