lunedì 7 settembre 2009
Cuore di Gatto
Il gatto e la luna editrice è lieto di presentarvi la sua ultima pubblicazione:
Cuore di Gatto, di Ilaria Tomasini
Sette racconti dedicati ai gatti. Sette passi felpati nel magico, tenero e misterioso mondo dei felini. Sette storie che sembrano quasi fiabe, per sognare a tutte le età. Sette piccole perle per tutti gli amanti dei mici... e non solo.
Codice ISBN: 978-88-96104-07-1
Collana Gatto Blu
Formato PDF, peso 2,5 mb
Prezzo: 4 €
Il libro è disponibile soltanto in formato digitale ed è reperibile sul nostro sito.
lunedì 20 aprile 2009
Anna dai capelli rossi: la serie
Anna dai capelli rossi, che in Italia è nota per lo più grazie al cartone animato giapponese, uscito dal 1979 sugli schermi per la gioia di tante ragazzine, è in realtà la protagonista di una lunga saga. Il cartone animato era ispirato tutto al primo libro, Anna dei Tetti Verdi, dove si narravano le vicende di Anna Shirley dagli 11 ai 16 anni.
Tutta la serie ci fa seguire Anna fino ai 53 anni! Molti fans resterebbero fortemente colpiti nell'immaginarsi la ragazzina Anna Shirley adulta. In fondo chi di noi potrebbe figurarsi Candy Candy cinquantenne?
Ecco la serie completa dei libri su Anna, tra parentesi l'età di Anna in quel volume. Come vediamo dagli anni di pubblicazione, i libri non sono stati scritti rispettando fedelmente la cronologia degli eventi.
1 Anna dei Tetti Verdi - 1908 (11—16)
2 Anna di Avonlea 1909 (16—18)
3 Anna dell'isola 1915 (18—22)
4 Anna dei Pioppi Fruscianti 1936 (22—25)
5 La casa dei sogni di Anna 1917 (25—27)
6 Anna di Ingleside 1939 (34—40)
7 La valle dell'arcobaleno 1919 (41)
8 Rilla di Ingleside 1921 (49—53)
Oltre ai romanzi ci sono due raccolte di racconti ambientati ad Avonlea più una raccolta di poesie attribuite ad Anna e Gilbert.
Tutta la serie ci fa seguire Anna fino ai 53 anni! Molti fans resterebbero fortemente colpiti nell'immaginarsi la ragazzina Anna Shirley adulta. In fondo chi di noi potrebbe figurarsi Candy Candy cinquantenne?
Ecco la serie completa dei libri su Anna, tra parentesi l'età di Anna in quel volume. Come vediamo dagli anni di pubblicazione, i libri non sono stati scritti rispettando fedelmente la cronologia degli eventi.
1 Anna dei Tetti Verdi - 1908 (11—16)
2 Anna di Avonlea 1909 (16—18)
3 Anna dell'isola 1915 (18—22)
4 Anna dei Pioppi Fruscianti 1936 (22—25)
5 La casa dei sogni di Anna 1917 (25—27)
6 Anna di Ingleside 1939 (34—40)
7 La valle dell'arcobaleno 1919 (41)
8 Rilla di Ingleside 1921 (49—53)
Oltre ai romanzi ci sono due raccolte di racconti ambientati ad Avonlea più una raccolta di poesie attribuite ad Anna e Gilbert.
domenica 29 marzo 2009
I primi due
Ecco i primi due capitoli di Anna dei Tetti Verdi. Vi ricordo che per acquistare il libro completo in formato digitale (pdf) è sufficiente andare su questa pagina e seguire la procedura indicata. Il pdf intero costa solo 2 euro!
Capitolo 1 – La signora Rachel Lynde è sorpresa
La signora Rachel Lynde viveva esattamente dove la via principale di Avonlea s'immergeva in una piccola valle circondata da ontani e viti americane e attraversata da un ruscello, la cui sorgente era parecchio più indietro, nei boschi della vecchia tenuta dei Cuthbert; si diceva che il ruscello fosse intricato, impetuoso, almeno nel suo primo tratto tra i boschi, con buie nicchie di pozze e cascatelle. Ma quando arrivava alla valle dei Lynde era ormai un torrentello tranquillo e disciplinato, perché neppure un ruscello poteva scorrere davanti alla porta di casa della signora Rachel Lynde senza prestare il dovuto riguardo alla decenza e al decoro. Probabilmente anche lui sapeva che la signora Rachel era seduta alla finestra, intenta a lanciare un occhio critico su tutto ciò che le passava davanti, dai ruscelli e dai bambini in su. E se scovava qualcosa di strano, un dettaglio fuori posto, non si dava pace finché non scopriva i perché e i percome di tutto ciò.
Ci sono tantissime persone, dentro e fuori Avonlea, che riescono a impicciarsi costantemente dei fatti altrui, tanto da finire col trascurare i propri. La signora Rachel Lynde era una di quelle creature esperte in grado di occuparsi dei fatti propri e per di più anche di quelli altrui. Era una casalinga efficiente che svolgeva a puntino tutte le sue faccende, era iscritta al Circolo del Cucito, insegnava alla Scuola Domenicale ed era il pilastro più forte della Società di Mutuo Soccorso e della Società Missionaria.
Nonostante ciò la signora Rachel trovava sempre tempo in abbondanza per sedersi alla finestra della cucina a sferruzzare le sue coperte di cotone grezzo – ne aveva già fatte sedici, come le massaie di Avonlea mormoravano con timore reverenziale – e a osservare attentamente la strada principale che attraversava la piccola valle e si avvolgeva poi sulla ripida collina rossa più dietro.
Dal momento che Avonlea occupava una piccola penisola triangolare protesa nel golfo di San Lorenzo e col mare su due lati, chiunque volesse raggiungerla doveva passare per quella collina e per quella strada, e quindi davanti alle velate critiche degli occhi, che tutto vedevano, della signora Rachel.
La signora era lì seduta un pomeriggio dei primi di giugno. Il sole entrava caldo e brillante dalla finestra. Il frutteto sul pendio sotto la casa pareva una sposa tanto era carico di fiori bianco-rosati sui quali ronzava una miriade di api. Thomas Lynde, un ometto mite che la gente di Avonlea chiamava solo “il marito di Rachel Lynde”, stava seminando le rape tardive nel campo sulla collina dietro il granaio. E Matthew Cuthbert avrebbe dovuto fare lo stesso nel suo campo rosso accanto al ruscello oltre i Tetti Verdi. La signora Rachel lo sapeva perché la sera prima, nell'emporio di William J. Blair a Carmody, gliel'aveva sentito dire a Peter Morrison. Peter aveva dovuto chiederglielo, naturalmente, perché da che era nato Matthew Cuthbert non aveva mai raccontato di propria iniziativa nulla che riguardasse le sua vita.
Eppure ecco lì Matthew Cuthbert, alle tre e mezzo di un pomeriggio di lavoro, che se ne andava placido per la valle e sopra la collina. Inoltre indossava il colletto bianco e il suo vestito migliore, prova evidente che stava uscendo da Avonlea. E poi aveva il calesse e la cavalla saura, e questo indicava che aveva intenzione di andare lontano.
Ma dove stava andando Matthew Cuthbert? E perché?
Si fosse trattato di un qualunque altro abitante di Avonlea la signora Rachel, mettendo abilmente insieme questo e quell'elemento, sarebbe riuscita a trovare una risposta soddisfacente a entrambe le domande. Ma Matthew usciva di casa così raramente che doveva essere qualcosa di veramente urgente e insolito a portarlo fuori. Era l'uomo più timido del mondo e detestava andare tra gente estranea o in posti in cui fosse costretto a parlare con qualcuno. Vedere Matthew col colletto bianco e sul calesse era un evento raro. La signora Rachel, per quanto ci pensasse, non trovava una risposta e questo le rovinò il divertimento pomeridiano.
“Andrò ai Tetti Verdi dopo l'ora del tè e chiederò a Marilla dove è andato Matthew, e perché”, concluse infine quella rispettabile donna, “Lui non va spesso in città in questo periodo dell'anno e non va mai a trovare nessuno. Se avesse finito i semi di rapa non avrebbe preso né il vestito buono né il calesse per andare a prenderne altri. Andava lentamente, perciò non stava andando a chiamare il dottore. Eppure da ieri sera dev'essere successo qualcosa, altrimenti non sarebbe partito. Sono veramente perplessa, non avrò un minuto di pace fino a quando non avrò scoperto cos'è stato, oggi, a portare Matthew Cuthbert fuori da Avonlea.”
Perciò dopo il tè la signora Rachel uscì, ma non dovette andare lontano: la grande casa dove vivevano i Cuthbert, coperta da rampicanti e circondata da frutteti, distava a meno di un quarto di miglio dalla valle dei Lynde. A dir la verità il lungo viale d'accesso la faceva sembrare parecchio più distante. Il padre di Matthew Cuthbert, timido e silenzioso come il figlio, quando aveva costruito la casa l'aveva posta il più lontano possibile dall'umanità, pur senza entrare nel bosco. La fattoria dei Tetti Verdi era stata costruita sul lato più estremo della proprietà ed era ancora lì, a stento visibile dalla strada principale lungo la quale sorgevano le altre, più socievoli, case di Avonlea. Secondo la signora Rachel vivere lì non era veramente vivere.
“È solo stare da qualche parte, ecco cos'è”, si disse mentre entrava nel vialetto erboso, profondamente solcato e bordato da cespugli di rose bianche selvatiche, “Non mi sorprende che Matthew e Marilla siano un po' strani, visto che vivono tanto lontano. Gli alberi non sono di compagnia, anche se qui ce ne sono chissà quanti. Io preferisco stare con la gente, ma se quei due sembrano felici così forse ci sono abituati. Un corpo può abituarsi a qualsiasi cosa, anche a essere impiccato, come diceva l'Irlandese.”
Così dicendo la signora Rachel abbandonò il vialetto ed entrò nel cortile dei Tetti Verdi. Un cortile verde, pulito e ordinato, fiancheggiato da un lato da grandi, venerabili salici e dall'altro da compassati pioppi. Non c'era una una pagliuzza o un sassolino fuori posto, se ci fosse stato la signora Rachel l'avrebbe notato. Tra sé e sé pensava che Marilla Cuthbert spazzasse il cortile assiduamente quanto la casa. Si sarebbe potuto mangiare per terra, tanto era tutto pulito.
La signora Rachel bussò vivacemente alla porta della cucina, e quando le venne risposto d'accomodarsi entrò. La cucina dei Tetti Verdi era un ambiente allegro, anzi, sarebbe stato un ambiente allegro se non fosse stato così penosamente pulito, tanto da dare l'impressione di un salotto mai usato. Le finestre davano a est e a ovest. Da quella che dava a ovest, affacciata sul cortile, entrava un caldo fascio di sole estivo. Quella a est, da cui si intravvedevano il ciliegio in fiore del frutteto a sinistra e snelle betulle che ondeggiavano sulla riva del ruscello, era coperta dalle verdi ombre della vite rampicante. Qui sedeva, quelle rare volte in cui si metteva a sedere, Marilla Cuthbert, sempre piuttosto sospettosa verso quel sole che le pareva troppo frivolo e irresponsabile per una cosa seria come il mondo. Come adesso, che era seduta a sferruzzare. Dietro di lei la tavola era già apparecchiata per la cena.
Ancor prima di avere richiuso la porta, la signora Rachel aveva già preso mentalmente nota di tutto quello che c'era sul tavolo. C'erano tre piatti, e questo significava che Marilla stava aspettando che qualcun altro arrivasse assieme a Matthew. Ma erano piatti di tutti i giorni e c'erano un solo vasetto di confettura di mele selvatiche e un solo tipo di dolce, e questo significava che l'ospite atteso non era qualcuno di riguardo. E allora perché il colletto bianco di Matthew e la cavalla saura? La signora Rachel era davvero confusa da questo insolito mistero ai Tetti Verdi, che generalmente era un posto tranquillo e niente affatto misterioso.
"Buona sera, Rachel", disse Marilla, sbrigativa, “è una splendida serata, vero? Accomodati. Come state da voi?"
Qualcosa che, in mancanza d'altre parole, può essere chiamata amicizia, esisteva e c'era sempre stata tra Marilla Cuthbert e la signora Rachel, nonostante, o forse proprio per questo, fossero tanto diverse.
Marilla era una donna alta e magra, tutta angoli e niente curve; i suoi capelli scuri avevano qualche striscia grigia ed erano sempre avvolti in una stretta e piccola crocchia sulla quale erano aggressivamente infilzati due spilloni metallici. Sembrava una donna dalla scarsa esperienza e dalla inflessibile coscienza, e lo era; ma qualcosa attorno alla sua bocca la salvava, qualcosa che se fosse stata meglio sviluppata avrebbe potuto diventare senso dell'umorismo.
"Stiamo tutti abbastanza bene", disse la signora Rachel, "ma ho temuto che tu non stessi bene, quando ho visto Matthew partire oggi. Ho pensato che avessi bisogno di un dottore."
Le labbra di Marilla si contrassero visibilmente. Stava aspettando la signora Rachel, sapeva che l'inesplicabile passeggiata di Matthew era troppo per la curiosità della vicina.
"Oh, no, io sto bene, anche se ieri ho avuto un brutto mal di testa", disse,"Matthew è andato a Bright River. Prendiamo un ragazzino dall'orfanotrofio di Nova Scotia, arriva col treno di stasera."
Se Marilla avesse detto che Matthew era andato a Bright River per incontrare un canguro australiano, la signora Rachel non avrebbe potuto essere più sbalordita. In effetti ammutolì per cinque secondi. Era impensabile che Marilla stesse scherzando, ma lei fu costretta a pensarlo.
"Parli seriamente, Marilla?", domandò quando le tornò la voce.
"Ma certo!", disse Marilla, come se ricevere ragazzini dall'orfanotrofio di Nova Scotia fosse parte dei normali lavori primaverili di ogni ordinata fattoria di Avonlea e non una novità mai vista.
La signora Rachel sentì d'aver ricevuto un forte choc. Pensava perfino coi punti esclamativi. Un ragazzino! Tra tanta gente Marilla e Matthew Cuthbert adottavano un ragazzino! Da un orfanotrofio! Be', il mondo andava davvero al contrario! Dopo questo più nulla l'avrebbe sorpresa! Nulla!
"Cosa mai ti ha fatto venire in mente una simile idea?", domandò con disapprovazione.
"Be', ci abbiamo pensato un po'... tutto l'inverno, a dire il vero", rispose Marilla, "La signora Alexander Spencer è stata qui il giorno prima di Natale e ha detto che in primavera avrebbe preso una ragazzina dall'orfanotrofio di Hopeton. Sua cugina vive lì, la signora Spencer l'ha visitato e sa tutto di queste cose. Così Matthew e io ne abbiamo parlato da allora. Abbiamo pensato di prendere un ragazzino. Matthew sta invecchiando, ha già sessant'anni e non è più agile come un tempo. Il cuore gli da parecchi problemi. Tu sai quanto sia terribilmente difficile trovare qualcuno da prendere a servizio. Ci sono solo quegli stupidi, immaturi ragazzini francesi e appena riesci a beccarne uno e a insegnargli qualcosa lui se ne va a inscatolare aragoste oppure negli Stati Uniti. All'inizio Matthew aveva proposto di prendere un ragazzino, ma io avevo negato fermamente: 'Magari sono bravi, non dico di no, ma non voglio trovatelli di Londra, qui', ho detto, 'almeno prendiamo qualcuno del posto. Ci sarà sempre un rischio, chiunque prendiamo. Ma mi sentirei più a mio agio e dormirei meglio la notte se prendessimo uno nato qui in Canada.' Così alla fine decidemmo di chiedere alla signora Spencer di scegliercene uno quando andava a prendere la sua bambina. Abbiamo saputo che andava la settimana scorsa così, tramite i parenti di Carmody di Richard Spencer, le abbiamo mandato a dire di portarci un bambino sveglio e adatto di dieci o undici anni. Abbiamo pensato che fosse 1'età migliore, grande abbastanza da rendersi utile nelle faccende e giovane abbastanza da poterlo educare a dovere. Intendiamo dargli una casa e un'educazione. Oggi c'è arrivato un telegramma dalla signora Alexander Spencer, il postino l'ha portato dalla stazione, diceva che arrivavano stasera col treno delle cinque e mezza. Così Matthew è andato a Bright River a prenderlo. La signora Spencer lo lascerà lì perché poi, ovviamente, deve proseguire per le Sabbie Bianche."
La signora Rachel si vantava di essere una che dice sempre quello che pensa e ora si preparò a parlare dopo aver regolato le sue capacita mentali su questa notizia sconvolgente.
"Be', Marilla, ti dico chiaramente che stai facendo una grossa, sciocchezza. Una cosa rischiosa, ecco. Tu non sai chi prenderai con te. Porti un ragazzino in casa, nella tua casa, senza sapere nulla di lui, né il suo carattere, né chi siano i suoi genitori, neppure cosa potrebbe diventare. Proprio la settimana scorsa ho letto sul giornale di un uomo e di sua moglie, nella zona ovest dell'Isola, che avevano preso un ragazzino dall'orfanotrofio e lui nottetempo ha dato fuoco alla casa... di proposito, Marilla, quasi li bruciava nei loro letti. E so un altro caso di un bambino adottato che aveva il vizio di succhiare le uova, non sono riusciti a toglierglielo. Marilla, se tu avessi chiesto il mio consiglio, cosa che non hai fatto, ti avrei detto, per amor del cielo, di toglierti dalla testa un'idea simile, ecco tutto."
Questa paternale non offese né allarmò Marilla, che continuò a sferruzzare.
"Non nego che ci sia del vero in quel che dici, Rachel. Mi sono fatta degli scrupoli anch'io. Ma Matthew è terribilmente deciso, è evidente, perciò mi sono arresa. È così raro che Matthew sia tanto deciso su qualcosa che quando succede penso sia mio dovere dargliela vinta. E per i rischi, ci sono rischi praticamente in tutto ciò che i ragazzini fanno a questo mondo. C'è rischio anche ad avere figli propri, se viene fuori che... non vengono fuori bene. E poi Nova Scotia è proprio vicino all'Isola, non è come se lo prendessimo dall'Inghilterra o dagli Stati Uniti. Non può essere tanto diverso da noi."
"D'accordo, spero che vi vada tutto bene", disse la signora Rachel con un tono che indicava chiaramente i suoi penosi dubbi, "Ma non dire che non t'ho avvisata se brucerà i Tetti Verdi o metterà la stricnina nel pozzo... ho sentito il caso di un bambino adottato dall'orfanotrofio, a New Brunswick, che l'ha fatto e tutta la famiglia è morta fra atroci sofferenze. Solo che in quel caso era una femmina."
"Be', noi non prendiamo una femmina", disse Marilla, come se avvelenare pozzi fosse un'attività prettamente femminile e quindi da non temere con i maschietti, "Non mi sognerei mai di portare qui una bambina. Mi meraviglio che la signora Alexander Spencer l'abbia fatto. Ma sai, lei adotterebbe tutto l'orfanotrofio se le passasse per la mente di farlo."
La signora Rachel si sarebbe fermata volentieri ad aspettare che Matthew tornasse col suo orfano d'importazione. Ma visto che ci volevano ancora due ore, decise di andare su da Robert Bell a raccontare la novità. Avrebbe certo fatto colpo come nessun'altra, e la signora Rachel amava molto far colpo. Così se ne andò e Marilla ne fu in un certo senso sollevata, perché sentiva i dubbi e le paure riaccendersi sotto l'influenza del pessimismo della signora Rachel.
"Questa è veramente grossa", esclamò la signora Rachel quando fu lontana sul sentiero, "Mi pare quasi di sognare. Oh, mi spiace per quel poveretto. Matthew e Marilla non sanno nulla di bambini e si aspettano che questo sia più saggio e disciplinato di suo nonno, se mai l'ha avuto un nonno, cosa di cui dubito. È inquietante pensare a un bambino ai Tetti Verdi. Non ce ne sono mai stati, Matthew e Marilla erano già grandi quando è stata costruita la casa nuova... se mai quei due sono stati bambini. A guardarli è difficile crederlo. Non vorrei mai essere al posto di quell'orfano, poveretto."
Così, dal profondo del cuore, la signora Rachel parlò al cespuglio di rose.
Ma se solo avesse potuto vedere il bambino che in quel momento aspettava pazientemente alla stazione di Bright River, la sua pietà sarebbe stata ancora maggiore.
Capitolo 2 - Matthew Cuthbert è sorpreso
Matthew Cuthbert e la cavalla saura trottarono tranquilli per otto miglia fino alla stazione di Bright River. Era una strada graziosa che correva fra tranquille fattorie e ogni tanto attraversava balsamici boschetti d'abeti o macchie dove i pruni selvatici facevano sporgere delicati boccioli. L'aria era dolce dell'aroma dei campi di mele e i prati digradavano in lontananza verso le nebbie di perle e porpora dell'orizzonte, mentre
"Canta, canta l'uccellino
Come se tutto l'anno
Fosse d'estate un mattino"
A Matthew piaceva condurre il calesse a modo suo, tranne quando incontrava una donna e doveva rivolgerle un cenno di saluto... perché sull'Isola del Principe Edward bisogna fare un cenno di saluto a tutti quelli che si incontrano, che li si conosca oppure no.
Matthew temeva tutte le donne, tranne Marilla e la signora Rachel. Provava sempre la spiacevole sensazione che quelle misteriose creature ridessero segretamente di lui. E forse aveva ragione a pensarlo, perché era un personaggio dall'aspetto davvero strano, con quella figura goffa e i lunghi capelli grigio-ferro che toccavano le spalle incurvate, e la lunga, soffice barba marrone che portava da quando aveva vent'anni. In effetti a vent'anni aveva più o meno lo stesso aspetto che a sessanta, solo con meno grigio.
Quando arrivò a Bright River non c'erano treni in vista. Pensò d'essere in anticipo, così legò il cavallo nel cortile del piccolo albergo di Bright River e raggiunse la stazione. Le lunghe banchine erano deserte, l'unica creatura vivente era una ragazzina seduta su una pila di assi in fondo alla banchina. Matthew, che a stento s'era accorto che si trattava di una bambina, la superò più in fretta che potesse senza guardarla. Se l'avesse guardata ne avrebbe notato la tesa rigidità e 1'espressione di ansiosa attesa. Era seduta lì ad aspettare qualcosa o qualcuno, e visto che sedere e aspettare era tutto ciò che poteva fare, lei sedeva e aspettava con tutte le sue forze.
Matthew incontrò il capostazione che chiudeva la biglietteria per andare a casa a cenare e gli chiese se il treno delle cinque e mezzo sarebbe arrivato presto.
"Il treno delle cinque e mezzo è arrivato e se n'è andato mezz'ora fa", rispose spiccio l'ufficiale, "Ma hanno fatto scendere un passeggero per lei...una bambina. È lì seduta sulle assi. Le ho detto di andare nella sala d'attesa delle signore, ma mi ha informato solennemente che preferiva star fuori. 'C'è più spazio per la fantasia', ha detto. Mi sa che è un bel tipo."
"Non aspetto una bambina", disse Matthew recisamente, "Sono arrivato per un bambino. Dovrebbe essere qui. La signora Alexander Spencer me lo doveva portare da Nova Scotia."
Il capostazione fischiò.
"Credo che ci sia stato un errore", disse, "La signora Spencer è scesa dal treno e me l'ha affidata. Ha detto che sua sorella l'adottava da un orfanotrofio e che lei sarebbe venuto a prenderla. Questo è tutto quel che so. E non ho altri orfani nascosti nei dintorni."
"'Non capisco", disse Matthew debolmente, e desiderò che Marilla fosse lì per prendere in mano la situazione.
"Lo chieda alla bambina", disse il capostazione con noncuranza, "Credo che sia in grado di dare spiegazioni. Di certo ha una lingua. Forse avevano finito i bambini del tipo che voleva lei."
Il capostazione aveva fame e si allontanò baldanzoso, lasciando il povero Matthew a un compito che per lui era perfino più difficile che affrontare un leone in gabbia: raggiungere la ragazzina, una ragazzina sconosciuta, per di più orfana, e chiederle perché non fosse un maschio. Matthew sospirò dal profondo dell'anima e lentamente la raggiunse sulla banchina.
Lei lo teneva d'occhio fin da quando gli era passato davanti e ora il suo sguardo era fisso su di lui. Matthew non la guardava e anche se l'avesse fatto non avrebbe badato a com'era fatta, ma un normale osservatore avrebbe visto questo: una bambina di undici anni rivestita da un abito di flanella giallo-grigiastro molto corto, molto stretto e molto brutto. Indossava un berretto da marinaio marrone sbiadito e da sotto il berretto scendevano, fin sulla schiena, due grosse trecce di capelli decisamente rossi. La faccia era piccola, bianca e magra, piena di lentiggini; la bocca era larga, così come gli occhi, che apparivano verdi con certe luci e certi umori e grigi con altri.
Questo per un osservatore normale. Un osservatore straordinariamente acuto avrebbe visto anche che il mento della bambina era molto appuntito e pronunciato, che i suoi occhi erano colmi d'intelligenza e vivacità, che la bocca aveva labbra dolci ed espressive, che la fronte era larga e alta. In breve il nostro osservatore straordinariamente perspicace sarebbe giunto alla conclusione che non fosse certo un'anima comune a risiedere nel corpo di questa randagia donna-bambina di cui Matthew Cuthbert aveva così ridicolmente paura.
A ogni modo a Matthew fu risparmiata la dura prova di dover parlare per primo, perché appena si accorse che lui la stava raggiungendo, la bambina si alzò, afferrando con una manina sottile e scura la maniglia di una borsa da viaggio malandata e fuori moda, e gli tese l'altra mano.
"Tu devi essere Matthew Cuthbert dei Tetti Verdi", disse con una voce straordinariamente dolce e chiara, "Sono molto lieta di vederti. Cominciavo a temere che non saresti più venuto a prendermi e m'immaginavo tutte le cose che avrebbero potuto impedirtelo. Avevo deciso che se non fossi arrivato stasera avrei seguito per un po' i binari fino a quel ciliegio selvatico in curva, ci sarei salita su e avrei trascorso lì tutta la notte. Non avrei avuto paura e sarebbe stato bello dormire su un ciliegio selvatico tutto bianco di fiori al chiaro di luna, non credi? Avrei potuto far finta che fosse un palazzo di marmo. E poi ero sicura che se non fossi arrivato stasera saresti arrivato domattina."
Matthew aveva stretto goffamente quella manina scarna e in quel momento decise cosa fare. Non poteva dire a questa bambina dagli occhi luminosi che c'era stato un errore. L'avrebbe portata a casa e gliel'avrebbe detto Marilla. In ogni caso, anche se c'era stato un errore non la si poteva lasciare a Bright River, così tutti i problemi e le spiegazioni potevano essere rimandati finché non fosse tornato al sicuro ai Tetti Verdi.
"Mi scuso per il ritardo", disse timidamente, "Vieni, il cavallo è in cortile. Dammi la borsa."
“Oh, posso portarla io", rispose allegramente la bambina, "Non è pesante. Ci tengo dentro tutti i miei beni terreni, ma non è pesante. E se non la porto esattamente in un certo modo la maniglia viene via, quindi è meglio che la porti io visto che conosco la presa esatta. È una borsa da viaggio così vecchia. Oh, sono così contenta che tu sia arrivato, anche se sarebbe stato carino dormire su un ciliegio selvatico. Dobbiamo fare ancora molta strada, vero? La signora Spencer ha detto che sono otto miglia. Sono felice perché mi piace viaggiare. Oh, sembra fantastico che verrò a stare da voi e che farò parte della vostra famiglia. Non ho mai avuto una famiglia... quasi. L'orfanotrofio era terribile. Ci sono stata solo quattro mesi e mi sono bastati. Non puoi capire com'è se non sei mai stato orfano in un orfanotrofio. È peggio di qualunque altra cosa immaginabile. La signora Spencer dice che sono cattiva a dire certe cose, ma io non volevo essere cattiva. È facile essere cattivi senza saperlo, vero? Erano buoni, quelli dell'orfanotrofio. Ma c'è così poco su cui fantasticare in un orfanotrofio... solo gli altri orfani. Era interessante immaginare cose su di loro... per esempio che la ragazzina seduta vicino a me in realtà era la figlia d'un signore importante, ma era stata rapita da piccola da una balia malvagia che poi era morta prima di poter confessare. Di solito la notte me ne stavo sveglia a immaginare cose del genere perché di giorno non avevo tempo. Forse è per questo che sono così magra... sono terribilmente magra, vero? Sono tutt'ossa, ma mi piace far finta di essere carina e paffuta, con le fossette sui gomiti."
E qui la ragazzina smise di parlare, un po' perché ormai era senza fiato e un po' perché avevano raggiunto il calesse. Non disse altro finché non ebbero lasciato il paese e non furono in viaggio su una collinetta ripida in cui parte della strada era stata scavata così a fondo nel terreno soffice che le due sponde, bordate di ciliegi selvatici in fiore e snelle betulle bianche, superavano di molti piedi le loro teste.
La bambina allungò una mano e staccò un ramoscello di pruno selvatico che sfregava contro un fianco del calesse.
"Non è bello? A che ti fanno pensare, questi alberi che si affacciano dalle sponde tutti bianchi come merletti?", chiese.
"Be'... non lo so", disse Matthew.
"Ma a una sposa, ovviamente. Una sposa tutta in bianco e con un delizioso velo delicato. Oh, non m'aspetto di diventare sposa anch'io. Sono così scialba che nessuno vorrà mai sposarmi... forse solo qualche missionario straniero. Credo che i missionari stranieri non abbiano gusti difficili. Però spero che un giorno avrò anch'io un vestito bianco. Questo è il mio ideale più alto di beatitudine terrena. Mi piacciono tanto i bei vestiti. E non ho mai avuto un bel vestito in vita mia, per quel che ricordo... ma è meglio guardare avanti, vero? E allora posso immaginare d'indossare un vestito meraviglioso. Stamattina quando ho lasciato l'orfanotrofio mi vergognavo tanto perché dovevo portare questo vecchio, orribile vestito di flanella. Tutti gli orfani devono portarlo. L'inverno scorso un mercante di Hopeton ha donato all'orfanotrofio trecento metri di flanella. Qualcuno dice che l'ha fatto perché non poteva venderla, ma io preferisco credere che l'ha fatto per bontà d'animo. Quando sono salita sul treno mi pareva che tutti mi guardassero e provassero pena. Allora mi sono messa a immaginare che indossavo un bellissimo vestito di seta celeste - perché visto che immaginavo tanto valeva immaginare una cosa bella - e un grande cappello tutto pieno di fiori e piume ondeggianti, e un orologio d'oro, e guanti di pelle e stivaletti. Mi sono sentita allegra e mi sono goduta più che mai il mio viaggio fino all'Isola. Non mi ha dato fastidio andare in nave. Neppure alla signora Spencer, anche se lei di solito ne soffre. Non ha avuto tempo di star male, era troppo impegnata a controllare che io non cadessi fuoribordo. Diceva che doveva sorvegliarmi sempre perché continuavo a sporgermi. Però se non ha avuto il mal di mare è merito mio, no? E io volevo vedere tutto quello che c'era da vedere su quella nave, perché chi sa se avrò ancora l'opportunità di andarci? Oh, altri ciliegi in fiore. Quest'isola è il posto più fiorito del mondo. Mi piace già, sarà bello viverci. Ho sempre sentito dire che l'Isola del Principe Edward è il posto più carino del mondo e facevo finta di viverci, ma non mi sarei mai aspettata di venirci per davvero. È bellissimo quando le tue fantasie diventano realtà, no? Ma che buffe quelle stradine rosse. Quando siamo salite in treno a Charlottetown e abbiamo visto le strade rosse ho chiesto alla signora Spencer cosa le rendesse tanto rosse e lei ha risposto che non lo sapeva e per amor del cielo di non fare più domande. Disse che gliene avevo già fatte migliaia. E forse è vero, ma come fai a imparare qualcosa se non chiedi? Perché queste strade sono così rosse?"
"Be'... non lo so", disse Matthew
"Questa è una delle cose che dovrò scoprire prima o poi. Non è splendido pensare a tutte le cose che ci saranno da scoprire qui? Mi fa sentire così felice di essere viva. Il mondo è così interessante. Lo sarebbe molto meno se sapessimo già tutto, no? Non ci sarebbe niente su cui fantasticare. Ma sto parlando troppo? La gente me lo dice sempre. Vuoi che la smetta? Dimmelo e mi fermo. Posso smettere di parlare quando decido di farlo, non è tanto difficile."
Con sua grande sorpresa, Matthew si stava divertendo. Come capita spesso ai tipi tranquilli, gli piacevano le persone chiacchierone quando queste portavano avanti il discorso da sole e non pretendevano che lui vi prendesse parte. Ma non si sarebbe mai aspettato di gradire la compagnia di una bambina. Lui credeva onestamente che le donne fossero cattive, e che le bambine fossero peggio. Detestava il mondo in cui gli scivolavano timidamente di fianco e gli lanciavano occhiate furtive come se si aspettassero che lui potesse mangiarsele in un boccone appena aprivano bocca. Questo era il modello di bambina ben educata ad Avonlea. Ma questa streghetta lentigginosa era diversa, e anche se Matthew non aveva un'intelligenza pronta e non riusciva a seguire tutto il rapido svolgersi dei pensieri della bambina, pure in un certo senso il suo chiacchiericcio gli piaceva. Così, timido come al solito, le disse:
"Oh, parla pure quanto vuoi. Non mi disturba."
"Che bello! Lo so, tu e io andremo molto d'accordo. È un tale sollievo poter parlare quando ne hai voglia senza qualcuno che ti dica sempre che i bambini si devono vedere ma non sentire. Me l'hanno detto milioni di volte e la gente mi prende in giro perché uso i paroloni. Ma se uno ha idee grandi deve usare parole grandi per esprimerle, no?"
"Be', mi sembra ragionevole", disse Matthew
"La signora Spencer dice che la mia lingua è troppo sciolta. Ma non è vero: è ben attaccata in fondo alla mia bocca. La signora Spencer dice che casa tua si chiama Tetti Verdi. Le ho chiesto tutto, lei ha detto che ci sono tanti alberi. Questo mi ha reso più felice che mai, io adoro gli alberi e all'orfanotrofio non ce n'erano quasi, solo delle cose piccole piccole sul davanti dentro a delle gabbiette imbiancate. Sembravano orfani pure loro, quegli alberi. Mi veniva da piangere a guardarli. Gli dicevo sempre: 'Oh, poveretti! Se foste fuori nei grandi boschi con altri alberi tutt'intorno e il muschio e piccole campanule che vi crescono sulle radici, e un ruscelletto vicino, e gli uccellini che vi cantano tra i rami, potreste crescere. Ma non potete farlo qui. So esattamente come vi sentite, alberelli.' Mi è! dispiaciuto lasciarli stamattina. Ci si affeziona a queste cose, no? C'è un ruscello vicino ai Tetti Verdi? Ho dimenticato di chiederlo alla signora Spencer."
"Be', sì, ce n'è uno proprio vicino alla casa."
"Fantastico! Ho sempre sognato di vivere vicino a un ruscello. Però non mi aspettavo che mi succedesse. Non sempre i sogni si avverano, no? Sarebbe bello se lo facessero. Ora sono quasi perfettamente felice. Non posso sentirmi del tutto perfettamente felice perché... be', che colore ti pare questo?"
Si tirò una delle lunghe trecce lucenti sopra la spalla magra e la mise davanti agli occhi di Matthew. Matthew non era bravo a comprendere le tonalità di colore delle trecce femminili, ma in questo caso non c'erano dubbi.
"È rosso, no?", disse lui.
La ragazzina lasciò ricadere la treccia con un sospiro che parve scuoterle tutto il corpo e che esalava una tristezza vecchia di anni.
"Sì, è rosso", disse lei, rassegnata, "Ora capisci perché non posso essere perfettamente felice. Nessuno ci riuscirebbe con questi capelli rossi. Non m'importa tanto delle altre cose. Le lentiggini, gli occhi verdi, essere così magra... posso farli sparire con la fantasia. Posso immaginare di avere un incarnato di rosa e deliziosi, scintillanti occhi viola. Ma non riesco a mandar via i capelli rossi con la fantasia. Ci provo, faccio del mio meglio. Penso tra me: 'ora i miei capelli sono di un magnifico nero, neri come l'ala del corvo'. Però ogni volta so che in realtà sono rossi e questo mi spezza il cuore. Sarà un dolore per tutta la vita. Una volta in un romanzo ho letto di una ragazza che aveva un gran dolore per tutta la vita ma non erano i capelli rossi. I suoi capelli erano del colore dell'oro puro e le scendevano in onde dalla fronte d'alabastro alla schiena. Cos'è una fronte d'alabastro? Non l'ho mai capito. Tu lo sai?"
"Eh... no, temo di no", disse Matthew, che cominciava a essere veramente sconcertato. Si sentiva come gli era capitato una volta nella sua spericolata giovinezza, quando a un picnic un altro ragazzo l'aveva convinto a salire sulle giostre.
"Be', a ogni modo dev'essere qualcosa di positivo, perché questa ragazza era divinamente bella. Hai mai pensato a come ci si sentirebbe a essere divinamente belli?"
"No, proprio no", confessò Matthew candidamente.
"Io sì, spesso. E tu cosa vorresti essere se potessi scegliere tra divinamente bello, sorprendentemente bravo o angelicamente buono?"
"N... non lo so di preciso..."
"Neppure io. Non riesco mai a decidermi. Ma non fa niente, tanto non diventerò nulla delle tre. Di certo non sarò mai angelicamente buona. La signora Spencer dice... Oh, signor Cuthbert! Oh, signor Cuthbert! Oh, signor Cuthbert!"
Questo non era quello che la signora Spencer aveva detto, né la bambina era caduta giù dal calesse, e neppure Matthew aveva fatto qualcosa di strano. Semplicemente avevano voltato a una curva ed erano entrati nel "Viale".
Il "Viale", come veniva chiamato dagli abitanti di Newbridge, era un tratto di strada, lungo circa quattro o cinquecento piedi, sovrastato interamente da una cupola di grossi e frondosi meli, piantati molti anni fa da un vecchio fattore eccentrico. In alto formavano un'unica volta di candidi fiori profumati. Sotto i rami l'aria era piena di scintillii violetti e di fronte si scorgeva il cielo dipinto dai colori del tramonto che appariva come una vetrata rosa in fondo alla navata di una cattedrale.
Davanti a tanta bellezza la bambina ammutolì. Si appoggiò al fondo del calesse, le mani magre giunte davanti a sé, il volto sollevato e rapito per lo splendore in alto. Anche quando furono passati oltre ed ebbero imboccato il lungo pendio per Newbridge lei non si mosse né parlò. Ancora rapita, guardava verso il tramonto, a ovest, con occhi che vedevano straordinarie apparizioni sfilare su quello sfavillante fondale. Sempre in silenzio attraversarono Newbridge, un paesino operoso dove i cani gli abbaiarono, i bambini gli fischiarono dietro e facce curiose li spiarono dalle finestre. Proseguirono altre tre miglia e la bambina non aveva ancora fiatato. Riusciva a rimanere zitta, era evidente, con la stessa energia che impiegava nel parlare.
"Sarai stanca, e avrai fame", azzardò infine Matthew, che riteneva queste le uniche cause a cui poter attribuire quel lungo silenzio, "Ma non c'è più tanta strada da fare ancora... soltanto un miglio."
La bambina uscì dalla sua fantasticheria con un profondo sospiro e lo guardò con occhi sognanti, come quelli di un'anima che abbia vagato molto lontano, seguendo una stella.
"Oh, signor Cuthbert", mormorò, "Quel posto dove siamo passati, quello tutto bianco... cos'è?"
"Oh, forse intendi il Viale", disse Matthew dopo alcuni istanti di profonda riflessione, "Sì, è un posto grazioso."
"Grazioso? Oh, grazioso non mi sembra la parola più adatta. E neppure bello. Non basta. Era... meraviglioso, ecco. Meraviglioso. È la prima volta che vedo qualcosa che non possa migliorare con la fantasia. Mi ha proprio colpito qui", e si poggiò una mano sul cuore, "Mi ha fatto un po' male, in modo strano, ma anche piacevole. Hai mai provato un dolore tanto strano, signor Cuthbert?"
"No, non che io ricordi."
"A me è successo un sacco di volte... tutte le volte che vedo una cosa superbamente bella. Ma non dovrebbero chiamare quel posto magnifico il Viale. Un nome del genere non vuol dire nulla. Dovrebbero chiamarlo...vediamo... La Bianca Via della Delizia. Non è un bel nome fantasioso? Quando il nome di un posto o di una persona non mi piace me ne invento sempre un altro e mi diverto a pensarli con quei nomi nuovi. All'orfanotrofio c'era una bambina che si chiamava Hepzibah Jenkins, ma io facevo finta che si chiamasse Rosalia DeVere. Gli altri possono continuare a chiamarlo il Viale, ma per me è la Bianca Via della Delizia. Davvero manca solo un miglio per arrivare a casa? Sono contenta e mi dispiace. Mi dispiace perché questo viaggio in calesse è stato bello e a me dispiace sempre quando le cose belle finiscono. Forse quello che capiterà dopo sarà ancora più bello, ma come fai a esserne sicuro? Anzi, molto spesso non è affatto più bello, almeno per la mia esperienza. Ma mi piace l'idea di arrivare a casa. Sai, io non ricordo d'aver mai avuto una vera casa. Mi torna quel dolore strano se penso che sto per avere una casa vera. È meraviglioso!"
Erano arrivati in cima a una collina. In basso c'era uno stagno che pareva quasi un fiume tant'era lungo e pieno di curve. Un ponte lo attraversava nel mezzo e da lì all'altra estremità, dove una cintura di collinette di sabbia color dell'ambra lo separava dal mare blu scuro più dietro, l'acqua era un tripudio di tinte cangianti, c'erano le più spirituali sfumature del croco e della rosa, un verde etereo e altri colori anche più tenui per cui forse non esiste ancora un nome. Dall'altra parte del ponte lo stagno era bordato da macchie di abeti e aceri ed era scuro e traslucido sotto le loro ombre ondeggianti. Qua e là un pruno selvatico si sporgeva dalla riva come una ragazza vestita di bianco che in punta di piedi ammiri il proprio riflesso. Dall'acquitrino in fondo allo stagno si levava il chiaro, dolce e malinconico coro delle rane. C'era una casetta grigia che faceva capolino oltre un frutteto di meli bianco di fiori, sulla collina successiva, e anche se non era ancora buio, una luce brillava da una delle sue finestre.
"È lo stagno di Barry", disse Matthew.
"Non mi piace neanche questo nome. Lo chiamerò... vediamo... il Lago delle Acque Scintillanti. Sì, questo è il nome giusto. Lo so per via del brivido. Tutte le volte che trovo un nome che va bene per qualcosa ho un brivido. C'è qualcosa che ti fa venire i brividi?"
Matthew ci rifletté su.
"Oh, sì. Mi vengono sempre i brividi quando vedo quei brutti vermi bianchi quando vango il campo di cetrioli. Detesto il loro aspetto."
"Non credo che sia proprio lo stesso tipo di brividi, no? Vermi e acque scintillanti non hanno molto in comune tra loro. Ma perché gli altri lo chiamano lo stagno di Barry?"
"Credo che sia perché il signor Barry vive in quella casa lassù. Pendio del Frutteto è il nome di questo posto. Se non fosse per quel gran cespuglio lì dietro potremmo vedere i Tetti Verdi da qui. Ma dobbiamo attraversare il ponte e poi ancora fare un po' di strada, è quasi a mezzo miglio da qui."
'"Il signor Barry ha qualche bambina piccola? Be', non tanto piccola, grande come me."
"Ne ha una di circa undici anni. Si chiama Diana."
"Oh", disse lei facendo un profondo sospiro, "Che nome decisamente grazioso."
"Mah, non so. Ha qualcosa di spaventosamente pagano, secondo me. Io preferisco June, Mary, nomi più sensati. Ma quando Diana è nata c'era qui un maestro, gli hanno chiesto di scegliere lui il nome e lui ha scelto Diana."
"Allora vorrei che ci fosse stato un maestro nei paraggi anche quando sono nata io. Oh, siamo arrivati al ponte. Adesso chiudo gli occhi. Ho sempre paura di attraversare i ponti. Non riesco a fare a meno di immaginarmi che quando siamo a metà si chiuda come un coltellino e ci tagli. Così chiudo gli occhi. Però poi devo sempre riaprirli quando arrivo a metà, perché se il ponte si chiudesse davvero io vorrei vederlo mentre si chiude. Che rombo allegro che fa. Mi piace sempre questa parte. Non è meraviglioso che al mondo ci siano tante cose da apprezzare? Siamo passati. Allora posso guardare indietro. Buonanotte, caro Lago delle Acque Scintillanti. Io dico sempre buonanotte alle cose che amo, proprio come faccio con le persone. Credo che alle cose piaccia. L'acqua pareva quasi sorridermi."
Quando ebbero superato la collina successiva e un'altra curva Matthew disse: "Siamo quasi arrivati a casa. I Tetti Verdi sono quelli..."
"Non me lo dire", lo interruppe lei precipitosamente afferrandogli il braccio sollevato e strizzando gli occhi per non vedere il suo gesto, "Voglio indovinare. Sono sicura che indovino."
Aprì gli occhi e si guardò attorno. Erano in cima a una collina. Il sole era tramontato da un po' ma il paesaggio era ancora chiaro nella calda luce serale. A ovest la scura guglia di una chiesa si levava contro un cielo color calendula. Sotto c'era una piccola valle e oltre ancora un dolce pendio disseminato di tranquille fattorie. Gli occhi della bambina, ardenti e ansiosi, sfrecciavano dall'una all'altra. Alla fine si fissarono su una lontana, sulla sinistra, distante dalla strada, indistintamente bianca di alberi in fiore all'ombra dei boschi circostanti. Proprio sopra, nel terso cielo di sud-ovest, una grande stella cristallina splendeva come un faro carico di promesse.
"Eccola!", disse lei puntandola.
Matthew, incantato, schioccò le redini sulla schiena della cavalla. "Hai indovinato! Ma scommetto che la signora Spencer te l'aveva descritta, per questo l'hai riconosciuta."
"No, non l'ha fatto. Davvero. Quello che mi ha detto poteva andar bene anche per tutte queste altre fattorie. Non avevo proprio idea di come fosse fatta. Ma appena l'ho vista ho sentito che quella era casa. Mi pare di sognare. Il mio braccio dev'essere viola di lividi dal gomito in su. Mi sono pizzicata tante volte oggi... ogni tanto mi veniva una sensazione orribile e mi pareva di stare solo sognando. Allora mi pizzicavo per vedere se era vero. Poi m'è venuto in mente che anche se era solo un sogno era meglio sognarlo più a lungo possibile, così ho smesso di pizzicarmi. Però è tutto vero e siamo quasi a casa."
Con un sospiro rapito, ricadde in silenzio. Matthew si agitò, a disagio. Per fortuna ci avrebbe pensato Marilla, e non lui, a dire a questa poveretta che la casa che tanto desiderava non sarebbe stata sua.
Arrivarono fino alla valle dei Lynde, dov'era già piuttosto buio, ma non tanto scuro da impedire alla signora Rachel di vederli dalla sua postazione alla finestra, poi sopra la collina e sul lungo vialetto dei Tetti Verdi. Man mano che si avvicinavano a casa Matthew rifuggiva sempre più dal momento della verità con un'energia che lui stesso non capiva. Non era a Marilla o a se stesso che pensava, né ai problemi che quell'errore gli avrebbe procurato, ma alla delusione della bambina. Se pensava di dover spegnere quella luce assorta dai suoi occhi provava la spiacevole sensazione di stare per ammazzare qualcosa...proprio come si sentiva quando doveva uccidere un agnello, o un vitello, o un'altra creaturina innocente.
Il cortile era buio quando vi entrarono, e le foglie del pioppo vi frusciavano come seta.
"Ascolta gli alberi che parlano nel sonno", mormorò la bambina mentre lui la poggiava in terra, "Devono star facendo sogni dolcissimi."
Poi, stringendo saldamente la borsa da viaggio che conteneva "tutti i suoi beni terreni", lo seguì in casa.
Capitolo 1 – La signora Rachel Lynde è sorpresa
La signora Rachel Lynde viveva esattamente dove la via principale di Avonlea s'immergeva in una piccola valle circondata da ontani e viti americane e attraversata da un ruscello, la cui sorgente era parecchio più indietro, nei boschi della vecchia tenuta dei Cuthbert; si diceva che il ruscello fosse intricato, impetuoso, almeno nel suo primo tratto tra i boschi, con buie nicchie di pozze e cascatelle. Ma quando arrivava alla valle dei Lynde era ormai un torrentello tranquillo e disciplinato, perché neppure un ruscello poteva scorrere davanti alla porta di casa della signora Rachel Lynde senza prestare il dovuto riguardo alla decenza e al decoro. Probabilmente anche lui sapeva che la signora Rachel era seduta alla finestra, intenta a lanciare un occhio critico su tutto ciò che le passava davanti, dai ruscelli e dai bambini in su. E se scovava qualcosa di strano, un dettaglio fuori posto, non si dava pace finché non scopriva i perché e i percome di tutto ciò.
Ci sono tantissime persone, dentro e fuori Avonlea, che riescono a impicciarsi costantemente dei fatti altrui, tanto da finire col trascurare i propri. La signora Rachel Lynde era una di quelle creature esperte in grado di occuparsi dei fatti propri e per di più anche di quelli altrui. Era una casalinga efficiente che svolgeva a puntino tutte le sue faccende, era iscritta al Circolo del Cucito, insegnava alla Scuola Domenicale ed era il pilastro più forte della Società di Mutuo Soccorso e della Società Missionaria.
Nonostante ciò la signora Rachel trovava sempre tempo in abbondanza per sedersi alla finestra della cucina a sferruzzare le sue coperte di cotone grezzo – ne aveva già fatte sedici, come le massaie di Avonlea mormoravano con timore reverenziale – e a osservare attentamente la strada principale che attraversava la piccola valle e si avvolgeva poi sulla ripida collina rossa più dietro.
Dal momento che Avonlea occupava una piccola penisola triangolare protesa nel golfo di San Lorenzo e col mare su due lati, chiunque volesse raggiungerla doveva passare per quella collina e per quella strada, e quindi davanti alle velate critiche degli occhi, che tutto vedevano, della signora Rachel.
La signora era lì seduta un pomeriggio dei primi di giugno. Il sole entrava caldo e brillante dalla finestra. Il frutteto sul pendio sotto la casa pareva una sposa tanto era carico di fiori bianco-rosati sui quali ronzava una miriade di api. Thomas Lynde, un ometto mite che la gente di Avonlea chiamava solo “il marito di Rachel Lynde”, stava seminando le rape tardive nel campo sulla collina dietro il granaio. E Matthew Cuthbert avrebbe dovuto fare lo stesso nel suo campo rosso accanto al ruscello oltre i Tetti Verdi. La signora Rachel lo sapeva perché la sera prima, nell'emporio di William J. Blair a Carmody, gliel'aveva sentito dire a Peter Morrison. Peter aveva dovuto chiederglielo, naturalmente, perché da che era nato Matthew Cuthbert non aveva mai raccontato di propria iniziativa nulla che riguardasse le sua vita.
Eppure ecco lì Matthew Cuthbert, alle tre e mezzo di un pomeriggio di lavoro, che se ne andava placido per la valle e sopra la collina. Inoltre indossava il colletto bianco e il suo vestito migliore, prova evidente che stava uscendo da Avonlea. E poi aveva il calesse e la cavalla saura, e questo indicava che aveva intenzione di andare lontano.
Ma dove stava andando Matthew Cuthbert? E perché?
Si fosse trattato di un qualunque altro abitante di Avonlea la signora Rachel, mettendo abilmente insieme questo e quell'elemento, sarebbe riuscita a trovare una risposta soddisfacente a entrambe le domande. Ma Matthew usciva di casa così raramente che doveva essere qualcosa di veramente urgente e insolito a portarlo fuori. Era l'uomo più timido del mondo e detestava andare tra gente estranea o in posti in cui fosse costretto a parlare con qualcuno. Vedere Matthew col colletto bianco e sul calesse era un evento raro. La signora Rachel, per quanto ci pensasse, non trovava una risposta e questo le rovinò il divertimento pomeridiano.
“Andrò ai Tetti Verdi dopo l'ora del tè e chiederò a Marilla dove è andato Matthew, e perché”, concluse infine quella rispettabile donna, “Lui non va spesso in città in questo periodo dell'anno e non va mai a trovare nessuno. Se avesse finito i semi di rapa non avrebbe preso né il vestito buono né il calesse per andare a prenderne altri. Andava lentamente, perciò non stava andando a chiamare il dottore. Eppure da ieri sera dev'essere successo qualcosa, altrimenti non sarebbe partito. Sono veramente perplessa, non avrò un minuto di pace fino a quando non avrò scoperto cos'è stato, oggi, a portare Matthew Cuthbert fuori da Avonlea.”
Perciò dopo il tè la signora Rachel uscì, ma non dovette andare lontano: la grande casa dove vivevano i Cuthbert, coperta da rampicanti e circondata da frutteti, distava a meno di un quarto di miglio dalla valle dei Lynde. A dir la verità il lungo viale d'accesso la faceva sembrare parecchio più distante. Il padre di Matthew Cuthbert, timido e silenzioso come il figlio, quando aveva costruito la casa l'aveva posta il più lontano possibile dall'umanità, pur senza entrare nel bosco. La fattoria dei Tetti Verdi era stata costruita sul lato più estremo della proprietà ed era ancora lì, a stento visibile dalla strada principale lungo la quale sorgevano le altre, più socievoli, case di Avonlea. Secondo la signora Rachel vivere lì non era veramente vivere.
“È solo stare da qualche parte, ecco cos'è”, si disse mentre entrava nel vialetto erboso, profondamente solcato e bordato da cespugli di rose bianche selvatiche, “Non mi sorprende che Matthew e Marilla siano un po' strani, visto che vivono tanto lontano. Gli alberi non sono di compagnia, anche se qui ce ne sono chissà quanti. Io preferisco stare con la gente, ma se quei due sembrano felici così forse ci sono abituati. Un corpo può abituarsi a qualsiasi cosa, anche a essere impiccato, come diceva l'Irlandese.”
Così dicendo la signora Rachel abbandonò il vialetto ed entrò nel cortile dei Tetti Verdi. Un cortile verde, pulito e ordinato, fiancheggiato da un lato da grandi, venerabili salici e dall'altro da compassati pioppi. Non c'era una una pagliuzza o un sassolino fuori posto, se ci fosse stato la signora Rachel l'avrebbe notato. Tra sé e sé pensava che Marilla Cuthbert spazzasse il cortile assiduamente quanto la casa. Si sarebbe potuto mangiare per terra, tanto era tutto pulito.
La signora Rachel bussò vivacemente alla porta della cucina, e quando le venne risposto d'accomodarsi entrò. La cucina dei Tetti Verdi era un ambiente allegro, anzi, sarebbe stato un ambiente allegro se non fosse stato così penosamente pulito, tanto da dare l'impressione di un salotto mai usato. Le finestre davano a est e a ovest. Da quella che dava a ovest, affacciata sul cortile, entrava un caldo fascio di sole estivo. Quella a est, da cui si intravvedevano il ciliegio in fiore del frutteto a sinistra e snelle betulle che ondeggiavano sulla riva del ruscello, era coperta dalle verdi ombre della vite rampicante. Qui sedeva, quelle rare volte in cui si metteva a sedere, Marilla Cuthbert, sempre piuttosto sospettosa verso quel sole che le pareva troppo frivolo e irresponsabile per una cosa seria come il mondo. Come adesso, che era seduta a sferruzzare. Dietro di lei la tavola era già apparecchiata per la cena.
Ancor prima di avere richiuso la porta, la signora Rachel aveva già preso mentalmente nota di tutto quello che c'era sul tavolo. C'erano tre piatti, e questo significava che Marilla stava aspettando che qualcun altro arrivasse assieme a Matthew. Ma erano piatti di tutti i giorni e c'erano un solo vasetto di confettura di mele selvatiche e un solo tipo di dolce, e questo significava che l'ospite atteso non era qualcuno di riguardo. E allora perché il colletto bianco di Matthew e la cavalla saura? La signora Rachel era davvero confusa da questo insolito mistero ai Tetti Verdi, che generalmente era un posto tranquillo e niente affatto misterioso.
"Buona sera, Rachel", disse Marilla, sbrigativa, “è una splendida serata, vero? Accomodati. Come state da voi?"
Qualcosa che, in mancanza d'altre parole, può essere chiamata amicizia, esisteva e c'era sempre stata tra Marilla Cuthbert e la signora Rachel, nonostante, o forse proprio per questo, fossero tanto diverse.
Marilla era una donna alta e magra, tutta angoli e niente curve; i suoi capelli scuri avevano qualche striscia grigia ed erano sempre avvolti in una stretta e piccola crocchia sulla quale erano aggressivamente infilzati due spilloni metallici. Sembrava una donna dalla scarsa esperienza e dalla inflessibile coscienza, e lo era; ma qualcosa attorno alla sua bocca la salvava, qualcosa che se fosse stata meglio sviluppata avrebbe potuto diventare senso dell'umorismo.
"Stiamo tutti abbastanza bene", disse la signora Rachel, "ma ho temuto che tu non stessi bene, quando ho visto Matthew partire oggi. Ho pensato che avessi bisogno di un dottore."
Le labbra di Marilla si contrassero visibilmente. Stava aspettando la signora Rachel, sapeva che l'inesplicabile passeggiata di Matthew era troppo per la curiosità della vicina.
"Oh, no, io sto bene, anche se ieri ho avuto un brutto mal di testa", disse,"Matthew è andato a Bright River. Prendiamo un ragazzino dall'orfanotrofio di Nova Scotia, arriva col treno di stasera."
Se Marilla avesse detto che Matthew era andato a Bright River per incontrare un canguro australiano, la signora Rachel non avrebbe potuto essere più sbalordita. In effetti ammutolì per cinque secondi. Era impensabile che Marilla stesse scherzando, ma lei fu costretta a pensarlo.
"Parli seriamente, Marilla?", domandò quando le tornò la voce.
"Ma certo!", disse Marilla, come se ricevere ragazzini dall'orfanotrofio di Nova Scotia fosse parte dei normali lavori primaverili di ogni ordinata fattoria di Avonlea e non una novità mai vista.
La signora Rachel sentì d'aver ricevuto un forte choc. Pensava perfino coi punti esclamativi. Un ragazzino! Tra tanta gente Marilla e Matthew Cuthbert adottavano un ragazzino! Da un orfanotrofio! Be', il mondo andava davvero al contrario! Dopo questo più nulla l'avrebbe sorpresa! Nulla!
"Cosa mai ti ha fatto venire in mente una simile idea?", domandò con disapprovazione.
"Be', ci abbiamo pensato un po'... tutto l'inverno, a dire il vero", rispose Marilla, "La signora Alexander Spencer è stata qui il giorno prima di Natale e ha detto che in primavera avrebbe preso una ragazzina dall'orfanotrofio di Hopeton. Sua cugina vive lì, la signora Spencer l'ha visitato e sa tutto di queste cose. Così Matthew e io ne abbiamo parlato da allora. Abbiamo pensato di prendere un ragazzino. Matthew sta invecchiando, ha già sessant'anni e non è più agile come un tempo. Il cuore gli da parecchi problemi. Tu sai quanto sia terribilmente difficile trovare qualcuno da prendere a servizio. Ci sono solo quegli stupidi, immaturi ragazzini francesi e appena riesci a beccarne uno e a insegnargli qualcosa lui se ne va a inscatolare aragoste oppure negli Stati Uniti. All'inizio Matthew aveva proposto di prendere un ragazzino, ma io avevo negato fermamente: 'Magari sono bravi, non dico di no, ma non voglio trovatelli di Londra, qui', ho detto, 'almeno prendiamo qualcuno del posto. Ci sarà sempre un rischio, chiunque prendiamo. Ma mi sentirei più a mio agio e dormirei meglio la notte se prendessimo uno nato qui in Canada.' Così alla fine decidemmo di chiedere alla signora Spencer di scegliercene uno quando andava a prendere la sua bambina. Abbiamo saputo che andava la settimana scorsa così, tramite i parenti di Carmody di Richard Spencer, le abbiamo mandato a dire di portarci un bambino sveglio e adatto di dieci o undici anni. Abbiamo pensato che fosse 1'età migliore, grande abbastanza da rendersi utile nelle faccende e giovane abbastanza da poterlo educare a dovere. Intendiamo dargli una casa e un'educazione. Oggi c'è arrivato un telegramma dalla signora Alexander Spencer, il postino l'ha portato dalla stazione, diceva che arrivavano stasera col treno delle cinque e mezza. Così Matthew è andato a Bright River a prenderlo. La signora Spencer lo lascerà lì perché poi, ovviamente, deve proseguire per le Sabbie Bianche."
La signora Rachel si vantava di essere una che dice sempre quello che pensa e ora si preparò a parlare dopo aver regolato le sue capacita mentali su questa notizia sconvolgente.
"Be', Marilla, ti dico chiaramente che stai facendo una grossa, sciocchezza. Una cosa rischiosa, ecco. Tu non sai chi prenderai con te. Porti un ragazzino in casa, nella tua casa, senza sapere nulla di lui, né il suo carattere, né chi siano i suoi genitori, neppure cosa potrebbe diventare. Proprio la settimana scorsa ho letto sul giornale di un uomo e di sua moglie, nella zona ovest dell'Isola, che avevano preso un ragazzino dall'orfanotrofio e lui nottetempo ha dato fuoco alla casa... di proposito, Marilla, quasi li bruciava nei loro letti. E so un altro caso di un bambino adottato che aveva il vizio di succhiare le uova, non sono riusciti a toglierglielo. Marilla, se tu avessi chiesto il mio consiglio, cosa che non hai fatto, ti avrei detto, per amor del cielo, di toglierti dalla testa un'idea simile, ecco tutto."
Questa paternale non offese né allarmò Marilla, che continuò a sferruzzare.
"Non nego che ci sia del vero in quel che dici, Rachel. Mi sono fatta degli scrupoli anch'io. Ma Matthew è terribilmente deciso, è evidente, perciò mi sono arresa. È così raro che Matthew sia tanto deciso su qualcosa che quando succede penso sia mio dovere dargliela vinta. E per i rischi, ci sono rischi praticamente in tutto ciò che i ragazzini fanno a questo mondo. C'è rischio anche ad avere figli propri, se viene fuori che... non vengono fuori bene. E poi Nova Scotia è proprio vicino all'Isola, non è come se lo prendessimo dall'Inghilterra o dagli Stati Uniti. Non può essere tanto diverso da noi."
"D'accordo, spero che vi vada tutto bene", disse la signora Rachel con un tono che indicava chiaramente i suoi penosi dubbi, "Ma non dire che non t'ho avvisata se brucerà i Tetti Verdi o metterà la stricnina nel pozzo... ho sentito il caso di un bambino adottato dall'orfanotrofio, a New Brunswick, che l'ha fatto e tutta la famiglia è morta fra atroci sofferenze. Solo che in quel caso era una femmina."
"Be', noi non prendiamo una femmina", disse Marilla, come se avvelenare pozzi fosse un'attività prettamente femminile e quindi da non temere con i maschietti, "Non mi sognerei mai di portare qui una bambina. Mi meraviglio che la signora Alexander Spencer l'abbia fatto. Ma sai, lei adotterebbe tutto l'orfanotrofio se le passasse per la mente di farlo."
La signora Rachel si sarebbe fermata volentieri ad aspettare che Matthew tornasse col suo orfano d'importazione. Ma visto che ci volevano ancora due ore, decise di andare su da Robert Bell a raccontare la novità. Avrebbe certo fatto colpo come nessun'altra, e la signora Rachel amava molto far colpo. Così se ne andò e Marilla ne fu in un certo senso sollevata, perché sentiva i dubbi e le paure riaccendersi sotto l'influenza del pessimismo della signora Rachel.
"Questa è veramente grossa", esclamò la signora Rachel quando fu lontana sul sentiero, "Mi pare quasi di sognare. Oh, mi spiace per quel poveretto. Matthew e Marilla non sanno nulla di bambini e si aspettano che questo sia più saggio e disciplinato di suo nonno, se mai l'ha avuto un nonno, cosa di cui dubito. È inquietante pensare a un bambino ai Tetti Verdi. Non ce ne sono mai stati, Matthew e Marilla erano già grandi quando è stata costruita la casa nuova... se mai quei due sono stati bambini. A guardarli è difficile crederlo. Non vorrei mai essere al posto di quell'orfano, poveretto."
Così, dal profondo del cuore, la signora Rachel parlò al cespuglio di rose.
Ma se solo avesse potuto vedere il bambino che in quel momento aspettava pazientemente alla stazione di Bright River, la sua pietà sarebbe stata ancora maggiore.
Capitolo 2 - Matthew Cuthbert è sorpreso
Matthew Cuthbert e la cavalla saura trottarono tranquilli per otto miglia fino alla stazione di Bright River. Era una strada graziosa che correva fra tranquille fattorie e ogni tanto attraversava balsamici boschetti d'abeti o macchie dove i pruni selvatici facevano sporgere delicati boccioli. L'aria era dolce dell'aroma dei campi di mele e i prati digradavano in lontananza verso le nebbie di perle e porpora dell'orizzonte, mentre
"Canta, canta l'uccellino
Come se tutto l'anno
Fosse d'estate un mattino"
A Matthew piaceva condurre il calesse a modo suo, tranne quando incontrava una donna e doveva rivolgerle un cenno di saluto... perché sull'Isola del Principe Edward bisogna fare un cenno di saluto a tutti quelli che si incontrano, che li si conosca oppure no.
Matthew temeva tutte le donne, tranne Marilla e la signora Rachel. Provava sempre la spiacevole sensazione che quelle misteriose creature ridessero segretamente di lui. E forse aveva ragione a pensarlo, perché era un personaggio dall'aspetto davvero strano, con quella figura goffa e i lunghi capelli grigio-ferro che toccavano le spalle incurvate, e la lunga, soffice barba marrone che portava da quando aveva vent'anni. In effetti a vent'anni aveva più o meno lo stesso aspetto che a sessanta, solo con meno grigio.
Quando arrivò a Bright River non c'erano treni in vista. Pensò d'essere in anticipo, così legò il cavallo nel cortile del piccolo albergo di Bright River e raggiunse la stazione. Le lunghe banchine erano deserte, l'unica creatura vivente era una ragazzina seduta su una pila di assi in fondo alla banchina. Matthew, che a stento s'era accorto che si trattava di una bambina, la superò più in fretta che potesse senza guardarla. Se l'avesse guardata ne avrebbe notato la tesa rigidità e 1'espressione di ansiosa attesa. Era seduta lì ad aspettare qualcosa o qualcuno, e visto che sedere e aspettare era tutto ciò che poteva fare, lei sedeva e aspettava con tutte le sue forze.
Matthew incontrò il capostazione che chiudeva la biglietteria per andare a casa a cenare e gli chiese se il treno delle cinque e mezzo sarebbe arrivato presto.
"Il treno delle cinque e mezzo è arrivato e se n'è andato mezz'ora fa", rispose spiccio l'ufficiale, "Ma hanno fatto scendere un passeggero per lei...una bambina. È lì seduta sulle assi. Le ho detto di andare nella sala d'attesa delle signore, ma mi ha informato solennemente che preferiva star fuori. 'C'è più spazio per la fantasia', ha detto. Mi sa che è un bel tipo."
"Non aspetto una bambina", disse Matthew recisamente, "Sono arrivato per un bambino. Dovrebbe essere qui. La signora Alexander Spencer me lo doveva portare da Nova Scotia."
Il capostazione fischiò.
"Credo che ci sia stato un errore", disse, "La signora Spencer è scesa dal treno e me l'ha affidata. Ha detto che sua sorella l'adottava da un orfanotrofio e che lei sarebbe venuto a prenderla. Questo è tutto quel che so. E non ho altri orfani nascosti nei dintorni."
"'Non capisco", disse Matthew debolmente, e desiderò che Marilla fosse lì per prendere in mano la situazione.
"Lo chieda alla bambina", disse il capostazione con noncuranza, "Credo che sia in grado di dare spiegazioni. Di certo ha una lingua. Forse avevano finito i bambini del tipo che voleva lei."
Il capostazione aveva fame e si allontanò baldanzoso, lasciando il povero Matthew a un compito che per lui era perfino più difficile che affrontare un leone in gabbia: raggiungere la ragazzina, una ragazzina sconosciuta, per di più orfana, e chiederle perché non fosse un maschio. Matthew sospirò dal profondo dell'anima e lentamente la raggiunse sulla banchina.
Lei lo teneva d'occhio fin da quando gli era passato davanti e ora il suo sguardo era fisso su di lui. Matthew non la guardava e anche se l'avesse fatto non avrebbe badato a com'era fatta, ma un normale osservatore avrebbe visto questo: una bambina di undici anni rivestita da un abito di flanella giallo-grigiastro molto corto, molto stretto e molto brutto. Indossava un berretto da marinaio marrone sbiadito e da sotto il berretto scendevano, fin sulla schiena, due grosse trecce di capelli decisamente rossi. La faccia era piccola, bianca e magra, piena di lentiggini; la bocca era larga, così come gli occhi, che apparivano verdi con certe luci e certi umori e grigi con altri.
Questo per un osservatore normale. Un osservatore straordinariamente acuto avrebbe visto anche che il mento della bambina era molto appuntito e pronunciato, che i suoi occhi erano colmi d'intelligenza e vivacità, che la bocca aveva labbra dolci ed espressive, che la fronte era larga e alta. In breve il nostro osservatore straordinariamente perspicace sarebbe giunto alla conclusione che non fosse certo un'anima comune a risiedere nel corpo di questa randagia donna-bambina di cui Matthew Cuthbert aveva così ridicolmente paura.
A ogni modo a Matthew fu risparmiata la dura prova di dover parlare per primo, perché appena si accorse che lui la stava raggiungendo, la bambina si alzò, afferrando con una manina sottile e scura la maniglia di una borsa da viaggio malandata e fuori moda, e gli tese l'altra mano.
"Tu devi essere Matthew Cuthbert dei Tetti Verdi", disse con una voce straordinariamente dolce e chiara, "Sono molto lieta di vederti. Cominciavo a temere che non saresti più venuto a prendermi e m'immaginavo tutte le cose che avrebbero potuto impedirtelo. Avevo deciso che se non fossi arrivato stasera avrei seguito per un po' i binari fino a quel ciliegio selvatico in curva, ci sarei salita su e avrei trascorso lì tutta la notte. Non avrei avuto paura e sarebbe stato bello dormire su un ciliegio selvatico tutto bianco di fiori al chiaro di luna, non credi? Avrei potuto far finta che fosse un palazzo di marmo. E poi ero sicura che se non fossi arrivato stasera saresti arrivato domattina."
Matthew aveva stretto goffamente quella manina scarna e in quel momento decise cosa fare. Non poteva dire a questa bambina dagli occhi luminosi che c'era stato un errore. L'avrebbe portata a casa e gliel'avrebbe detto Marilla. In ogni caso, anche se c'era stato un errore non la si poteva lasciare a Bright River, così tutti i problemi e le spiegazioni potevano essere rimandati finché non fosse tornato al sicuro ai Tetti Verdi.
"Mi scuso per il ritardo", disse timidamente, "Vieni, il cavallo è in cortile. Dammi la borsa."
“Oh, posso portarla io", rispose allegramente la bambina, "Non è pesante. Ci tengo dentro tutti i miei beni terreni, ma non è pesante. E se non la porto esattamente in un certo modo la maniglia viene via, quindi è meglio che la porti io visto che conosco la presa esatta. È una borsa da viaggio così vecchia. Oh, sono così contenta che tu sia arrivato, anche se sarebbe stato carino dormire su un ciliegio selvatico. Dobbiamo fare ancora molta strada, vero? La signora Spencer ha detto che sono otto miglia. Sono felice perché mi piace viaggiare. Oh, sembra fantastico che verrò a stare da voi e che farò parte della vostra famiglia. Non ho mai avuto una famiglia... quasi. L'orfanotrofio era terribile. Ci sono stata solo quattro mesi e mi sono bastati. Non puoi capire com'è se non sei mai stato orfano in un orfanotrofio. È peggio di qualunque altra cosa immaginabile. La signora Spencer dice che sono cattiva a dire certe cose, ma io non volevo essere cattiva. È facile essere cattivi senza saperlo, vero? Erano buoni, quelli dell'orfanotrofio. Ma c'è così poco su cui fantasticare in un orfanotrofio... solo gli altri orfani. Era interessante immaginare cose su di loro... per esempio che la ragazzina seduta vicino a me in realtà era la figlia d'un signore importante, ma era stata rapita da piccola da una balia malvagia che poi era morta prima di poter confessare. Di solito la notte me ne stavo sveglia a immaginare cose del genere perché di giorno non avevo tempo. Forse è per questo che sono così magra... sono terribilmente magra, vero? Sono tutt'ossa, ma mi piace far finta di essere carina e paffuta, con le fossette sui gomiti."
E qui la ragazzina smise di parlare, un po' perché ormai era senza fiato e un po' perché avevano raggiunto il calesse. Non disse altro finché non ebbero lasciato il paese e non furono in viaggio su una collinetta ripida in cui parte della strada era stata scavata così a fondo nel terreno soffice che le due sponde, bordate di ciliegi selvatici in fiore e snelle betulle bianche, superavano di molti piedi le loro teste.
La bambina allungò una mano e staccò un ramoscello di pruno selvatico che sfregava contro un fianco del calesse.
"Non è bello? A che ti fanno pensare, questi alberi che si affacciano dalle sponde tutti bianchi come merletti?", chiese.
"Be'... non lo so", disse Matthew.
"Ma a una sposa, ovviamente. Una sposa tutta in bianco e con un delizioso velo delicato. Oh, non m'aspetto di diventare sposa anch'io. Sono così scialba che nessuno vorrà mai sposarmi... forse solo qualche missionario straniero. Credo che i missionari stranieri non abbiano gusti difficili. Però spero che un giorno avrò anch'io un vestito bianco. Questo è il mio ideale più alto di beatitudine terrena. Mi piacciono tanto i bei vestiti. E non ho mai avuto un bel vestito in vita mia, per quel che ricordo... ma è meglio guardare avanti, vero? E allora posso immaginare d'indossare un vestito meraviglioso. Stamattina quando ho lasciato l'orfanotrofio mi vergognavo tanto perché dovevo portare questo vecchio, orribile vestito di flanella. Tutti gli orfani devono portarlo. L'inverno scorso un mercante di Hopeton ha donato all'orfanotrofio trecento metri di flanella. Qualcuno dice che l'ha fatto perché non poteva venderla, ma io preferisco credere che l'ha fatto per bontà d'animo. Quando sono salita sul treno mi pareva che tutti mi guardassero e provassero pena. Allora mi sono messa a immaginare che indossavo un bellissimo vestito di seta celeste - perché visto che immaginavo tanto valeva immaginare una cosa bella - e un grande cappello tutto pieno di fiori e piume ondeggianti, e un orologio d'oro, e guanti di pelle e stivaletti. Mi sono sentita allegra e mi sono goduta più che mai il mio viaggio fino all'Isola. Non mi ha dato fastidio andare in nave. Neppure alla signora Spencer, anche se lei di solito ne soffre. Non ha avuto tempo di star male, era troppo impegnata a controllare che io non cadessi fuoribordo. Diceva che doveva sorvegliarmi sempre perché continuavo a sporgermi. Però se non ha avuto il mal di mare è merito mio, no? E io volevo vedere tutto quello che c'era da vedere su quella nave, perché chi sa se avrò ancora l'opportunità di andarci? Oh, altri ciliegi in fiore. Quest'isola è il posto più fiorito del mondo. Mi piace già, sarà bello viverci. Ho sempre sentito dire che l'Isola del Principe Edward è il posto più carino del mondo e facevo finta di viverci, ma non mi sarei mai aspettata di venirci per davvero. È bellissimo quando le tue fantasie diventano realtà, no? Ma che buffe quelle stradine rosse. Quando siamo salite in treno a Charlottetown e abbiamo visto le strade rosse ho chiesto alla signora Spencer cosa le rendesse tanto rosse e lei ha risposto che non lo sapeva e per amor del cielo di non fare più domande. Disse che gliene avevo già fatte migliaia. E forse è vero, ma come fai a imparare qualcosa se non chiedi? Perché queste strade sono così rosse?"
"Be'... non lo so", disse Matthew
"Questa è una delle cose che dovrò scoprire prima o poi. Non è splendido pensare a tutte le cose che ci saranno da scoprire qui? Mi fa sentire così felice di essere viva. Il mondo è così interessante. Lo sarebbe molto meno se sapessimo già tutto, no? Non ci sarebbe niente su cui fantasticare. Ma sto parlando troppo? La gente me lo dice sempre. Vuoi che la smetta? Dimmelo e mi fermo. Posso smettere di parlare quando decido di farlo, non è tanto difficile."
Con sua grande sorpresa, Matthew si stava divertendo. Come capita spesso ai tipi tranquilli, gli piacevano le persone chiacchierone quando queste portavano avanti il discorso da sole e non pretendevano che lui vi prendesse parte. Ma non si sarebbe mai aspettato di gradire la compagnia di una bambina. Lui credeva onestamente che le donne fossero cattive, e che le bambine fossero peggio. Detestava il mondo in cui gli scivolavano timidamente di fianco e gli lanciavano occhiate furtive come se si aspettassero che lui potesse mangiarsele in un boccone appena aprivano bocca. Questo era il modello di bambina ben educata ad Avonlea. Ma questa streghetta lentigginosa era diversa, e anche se Matthew non aveva un'intelligenza pronta e non riusciva a seguire tutto il rapido svolgersi dei pensieri della bambina, pure in un certo senso il suo chiacchiericcio gli piaceva. Così, timido come al solito, le disse:
"Oh, parla pure quanto vuoi. Non mi disturba."
"Che bello! Lo so, tu e io andremo molto d'accordo. È un tale sollievo poter parlare quando ne hai voglia senza qualcuno che ti dica sempre che i bambini si devono vedere ma non sentire. Me l'hanno detto milioni di volte e la gente mi prende in giro perché uso i paroloni. Ma se uno ha idee grandi deve usare parole grandi per esprimerle, no?"
"Be', mi sembra ragionevole", disse Matthew
"La signora Spencer dice che la mia lingua è troppo sciolta. Ma non è vero: è ben attaccata in fondo alla mia bocca. La signora Spencer dice che casa tua si chiama Tetti Verdi. Le ho chiesto tutto, lei ha detto che ci sono tanti alberi. Questo mi ha reso più felice che mai, io adoro gli alberi e all'orfanotrofio non ce n'erano quasi, solo delle cose piccole piccole sul davanti dentro a delle gabbiette imbiancate. Sembravano orfani pure loro, quegli alberi. Mi veniva da piangere a guardarli. Gli dicevo sempre: 'Oh, poveretti! Se foste fuori nei grandi boschi con altri alberi tutt'intorno e il muschio e piccole campanule che vi crescono sulle radici, e un ruscelletto vicino, e gli uccellini che vi cantano tra i rami, potreste crescere. Ma non potete farlo qui. So esattamente come vi sentite, alberelli.' Mi è! dispiaciuto lasciarli stamattina. Ci si affeziona a queste cose, no? C'è un ruscello vicino ai Tetti Verdi? Ho dimenticato di chiederlo alla signora Spencer."
"Be', sì, ce n'è uno proprio vicino alla casa."
"Fantastico! Ho sempre sognato di vivere vicino a un ruscello. Però non mi aspettavo che mi succedesse. Non sempre i sogni si avverano, no? Sarebbe bello se lo facessero. Ora sono quasi perfettamente felice. Non posso sentirmi del tutto perfettamente felice perché... be', che colore ti pare questo?"
Si tirò una delle lunghe trecce lucenti sopra la spalla magra e la mise davanti agli occhi di Matthew. Matthew non era bravo a comprendere le tonalità di colore delle trecce femminili, ma in questo caso non c'erano dubbi.
"È rosso, no?", disse lui.
La ragazzina lasciò ricadere la treccia con un sospiro che parve scuoterle tutto il corpo e che esalava una tristezza vecchia di anni.
"Sì, è rosso", disse lei, rassegnata, "Ora capisci perché non posso essere perfettamente felice. Nessuno ci riuscirebbe con questi capelli rossi. Non m'importa tanto delle altre cose. Le lentiggini, gli occhi verdi, essere così magra... posso farli sparire con la fantasia. Posso immaginare di avere un incarnato di rosa e deliziosi, scintillanti occhi viola. Ma non riesco a mandar via i capelli rossi con la fantasia. Ci provo, faccio del mio meglio. Penso tra me: 'ora i miei capelli sono di un magnifico nero, neri come l'ala del corvo'. Però ogni volta so che in realtà sono rossi e questo mi spezza il cuore. Sarà un dolore per tutta la vita. Una volta in un romanzo ho letto di una ragazza che aveva un gran dolore per tutta la vita ma non erano i capelli rossi. I suoi capelli erano del colore dell'oro puro e le scendevano in onde dalla fronte d'alabastro alla schiena. Cos'è una fronte d'alabastro? Non l'ho mai capito. Tu lo sai?"
"Eh... no, temo di no", disse Matthew, che cominciava a essere veramente sconcertato. Si sentiva come gli era capitato una volta nella sua spericolata giovinezza, quando a un picnic un altro ragazzo l'aveva convinto a salire sulle giostre.
"Be', a ogni modo dev'essere qualcosa di positivo, perché questa ragazza era divinamente bella. Hai mai pensato a come ci si sentirebbe a essere divinamente belli?"
"No, proprio no", confessò Matthew candidamente.
"Io sì, spesso. E tu cosa vorresti essere se potessi scegliere tra divinamente bello, sorprendentemente bravo o angelicamente buono?"
"N... non lo so di preciso..."
"Neppure io. Non riesco mai a decidermi. Ma non fa niente, tanto non diventerò nulla delle tre. Di certo non sarò mai angelicamente buona. La signora Spencer dice... Oh, signor Cuthbert! Oh, signor Cuthbert! Oh, signor Cuthbert!"
Questo non era quello che la signora Spencer aveva detto, né la bambina era caduta giù dal calesse, e neppure Matthew aveva fatto qualcosa di strano. Semplicemente avevano voltato a una curva ed erano entrati nel "Viale".
Il "Viale", come veniva chiamato dagli abitanti di Newbridge, era un tratto di strada, lungo circa quattro o cinquecento piedi, sovrastato interamente da una cupola di grossi e frondosi meli, piantati molti anni fa da un vecchio fattore eccentrico. In alto formavano un'unica volta di candidi fiori profumati. Sotto i rami l'aria era piena di scintillii violetti e di fronte si scorgeva il cielo dipinto dai colori del tramonto che appariva come una vetrata rosa in fondo alla navata di una cattedrale.
Davanti a tanta bellezza la bambina ammutolì. Si appoggiò al fondo del calesse, le mani magre giunte davanti a sé, il volto sollevato e rapito per lo splendore in alto. Anche quando furono passati oltre ed ebbero imboccato il lungo pendio per Newbridge lei non si mosse né parlò. Ancora rapita, guardava verso il tramonto, a ovest, con occhi che vedevano straordinarie apparizioni sfilare su quello sfavillante fondale. Sempre in silenzio attraversarono Newbridge, un paesino operoso dove i cani gli abbaiarono, i bambini gli fischiarono dietro e facce curiose li spiarono dalle finestre. Proseguirono altre tre miglia e la bambina non aveva ancora fiatato. Riusciva a rimanere zitta, era evidente, con la stessa energia che impiegava nel parlare.
"Sarai stanca, e avrai fame", azzardò infine Matthew, che riteneva queste le uniche cause a cui poter attribuire quel lungo silenzio, "Ma non c'è più tanta strada da fare ancora... soltanto un miglio."
La bambina uscì dalla sua fantasticheria con un profondo sospiro e lo guardò con occhi sognanti, come quelli di un'anima che abbia vagato molto lontano, seguendo una stella.
"Oh, signor Cuthbert", mormorò, "Quel posto dove siamo passati, quello tutto bianco... cos'è?"
"Oh, forse intendi il Viale", disse Matthew dopo alcuni istanti di profonda riflessione, "Sì, è un posto grazioso."
"Grazioso? Oh, grazioso non mi sembra la parola più adatta. E neppure bello. Non basta. Era... meraviglioso, ecco. Meraviglioso. È la prima volta che vedo qualcosa che non possa migliorare con la fantasia. Mi ha proprio colpito qui", e si poggiò una mano sul cuore, "Mi ha fatto un po' male, in modo strano, ma anche piacevole. Hai mai provato un dolore tanto strano, signor Cuthbert?"
"No, non che io ricordi."
"A me è successo un sacco di volte... tutte le volte che vedo una cosa superbamente bella. Ma non dovrebbero chiamare quel posto magnifico il Viale. Un nome del genere non vuol dire nulla. Dovrebbero chiamarlo...vediamo... La Bianca Via della Delizia. Non è un bel nome fantasioso? Quando il nome di un posto o di una persona non mi piace me ne invento sempre un altro e mi diverto a pensarli con quei nomi nuovi. All'orfanotrofio c'era una bambina che si chiamava Hepzibah Jenkins, ma io facevo finta che si chiamasse Rosalia DeVere. Gli altri possono continuare a chiamarlo il Viale, ma per me è la Bianca Via della Delizia. Davvero manca solo un miglio per arrivare a casa? Sono contenta e mi dispiace. Mi dispiace perché questo viaggio in calesse è stato bello e a me dispiace sempre quando le cose belle finiscono. Forse quello che capiterà dopo sarà ancora più bello, ma come fai a esserne sicuro? Anzi, molto spesso non è affatto più bello, almeno per la mia esperienza. Ma mi piace l'idea di arrivare a casa. Sai, io non ricordo d'aver mai avuto una vera casa. Mi torna quel dolore strano se penso che sto per avere una casa vera. È meraviglioso!"
Erano arrivati in cima a una collina. In basso c'era uno stagno che pareva quasi un fiume tant'era lungo e pieno di curve. Un ponte lo attraversava nel mezzo e da lì all'altra estremità, dove una cintura di collinette di sabbia color dell'ambra lo separava dal mare blu scuro più dietro, l'acqua era un tripudio di tinte cangianti, c'erano le più spirituali sfumature del croco e della rosa, un verde etereo e altri colori anche più tenui per cui forse non esiste ancora un nome. Dall'altra parte del ponte lo stagno era bordato da macchie di abeti e aceri ed era scuro e traslucido sotto le loro ombre ondeggianti. Qua e là un pruno selvatico si sporgeva dalla riva come una ragazza vestita di bianco che in punta di piedi ammiri il proprio riflesso. Dall'acquitrino in fondo allo stagno si levava il chiaro, dolce e malinconico coro delle rane. C'era una casetta grigia che faceva capolino oltre un frutteto di meli bianco di fiori, sulla collina successiva, e anche se non era ancora buio, una luce brillava da una delle sue finestre.
"È lo stagno di Barry", disse Matthew.
"Non mi piace neanche questo nome. Lo chiamerò... vediamo... il Lago delle Acque Scintillanti. Sì, questo è il nome giusto. Lo so per via del brivido. Tutte le volte che trovo un nome che va bene per qualcosa ho un brivido. C'è qualcosa che ti fa venire i brividi?"
Matthew ci rifletté su.
"Oh, sì. Mi vengono sempre i brividi quando vedo quei brutti vermi bianchi quando vango il campo di cetrioli. Detesto il loro aspetto."
"Non credo che sia proprio lo stesso tipo di brividi, no? Vermi e acque scintillanti non hanno molto in comune tra loro. Ma perché gli altri lo chiamano lo stagno di Barry?"
"Credo che sia perché il signor Barry vive in quella casa lassù. Pendio del Frutteto è il nome di questo posto. Se non fosse per quel gran cespuglio lì dietro potremmo vedere i Tetti Verdi da qui. Ma dobbiamo attraversare il ponte e poi ancora fare un po' di strada, è quasi a mezzo miglio da qui."
'"Il signor Barry ha qualche bambina piccola? Be', non tanto piccola, grande come me."
"Ne ha una di circa undici anni. Si chiama Diana."
"Oh", disse lei facendo un profondo sospiro, "Che nome decisamente grazioso."
"Mah, non so. Ha qualcosa di spaventosamente pagano, secondo me. Io preferisco June, Mary, nomi più sensati. Ma quando Diana è nata c'era qui un maestro, gli hanno chiesto di scegliere lui il nome e lui ha scelto Diana."
"Allora vorrei che ci fosse stato un maestro nei paraggi anche quando sono nata io. Oh, siamo arrivati al ponte. Adesso chiudo gli occhi. Ho sempre paura di attraversare i ponti. Non riesco a fare a meno di immaginarmi che quando siamo a metà si chiuda come un coltellino e ci tagli. Così chiudo gli occhi. Però poi devo sempre riaprirli quando arrivo a metà, perché se il ponte si chiudesse davvero io vorrei vederlo mentre si chiude. Che rombo allegro che fa. Mi piace sempre questa parte. Non è meraviglioso che al mondo ci siano tante cose da apprezzare? Siamo passati. Allora posso guardare indietro. Buonanotte, caro Lago delle Acque Scintillanti. Io dico sempre buonanotte alle cose che amo, proprio come faccio con le persone. Credo che alle cose piaccia. L'acqua pareva quasi sorridermi."
Quando ebbero superato la collina successiva e un'altra curva Matthew disse: "Siamo quasi arrivati a casa. I Tetti Verdi sono quelli..."
"Non me lo dire", lo interruppe lei precipitosamente afferrandogli il braccio sollevato e strizzando gli occhi per non vedere il suo gesto, "Voglio indovinare. Sono sicura che indovino."
Aprì gli occhi e si guardò attorno. Erano in cima a una collina. Il sole era tramontato da un po' ma il paesaggio era ancora chiaro nella calda luce serale. A ovest la scura guglia di una chiesa si levava contro un cielo color calendula. Sotto c'era una piccola valle e oltre ancora un dolce pendio disseminato di tranquille fattorie. Gli occhi della bambina, ardenti e ansiosi, sfrecciavano dall'una all'altra. Alla fine si fissarono su una lontana, sulla sinistra, distante dalla strada, indistintamente bianca di alberi in fiore all'ombra dei boschi circostanti. Proprio sopra, nel terso cielo di sud-ovest, una grande stella cristallina splendeva come un faro carico di promesse.
"Eccola!", disse lei puntandola.
Matthew, incantato, schioccò le redini sulla schiena della cavalla. "Hai indovinato! Ma scommetto che la signora Spencer te l'aveva descritta, per questo l'hai riconosciuta."
"No, non l'ha fatto. Davvero. Quello che mi ha detto poteva andar bene anche per tutte queste altre fattorie. Non avevo proprio idea di come fosse fatta. Ma appena l'ho vista ho sentito che quella era casa. Mi pare di sognare. Il mio braccio dev'essere viola di lividi dal gomito in su. Mi sono pizzicata tante volte oggi... ogni tanto mi veniva una sensazione orribile e mi pareva di stare solo sognando. Allora mi pizzicavo per vedere se era vero. Poi m'è venuto in mente che anche se era solo un sogno era meglio sognarlo più a lungo possibile, così ho smesso di pizzicarmi. Però è tutto vero e siamo quasi a casa."
Con un sospiro rapito, ricadde in silenzio. Matthew si agitò, a disagio. Per fortuna ci avrebbe pensato Marilla, e non lui, a dire a questa poveretta che la casa che tanto desiderava non sarebbe stata sua.
Arrivarono fino alla valle dei Lynde, dov'era già piuttosto buio, ma non tanto scuro da impedire alla signora Rachel di vederli dalla sua postazione alla finestra, poi sopra la collina e sul lungo vialetto dei Tetti Verdi. Man mano che si avvicinavano a casa Matthew rifuggiva sempre più dal momento della verità con un'energia che lui stesso non capiva. Non era a Marilla o a se stesso che pensava, né ai problemi che quell'errore gli avrebbe procurato, ma alla delusione della bambina. Se pensava di dover spegnere quella luce assorta dai suoi occhi provava la spiacevole sensazione di stare per ammazzare qualcosa...proprio come si sentiva quando doveva uccidere un agnello, o un vitello, o un'altra creaturina innocente.
Il cortile era buio quando vi entrarono, e le foglie del pioppo vi frusciavano come seta.
"Ascolta gli alberi che parlano nel sonno", mormorò la bambina mentre lui la poggiava in terra, "Devono star facendo sogni dolcissimi."
Poi, stringendo saldamente la borsa da viaggio che conteneva "tutti i suoi beni terreni", lo seguì in casa.
giovedì 26 marzo 2009
Un, due, tre... si parte
Ebbene sì, è da tanto che stiamo lavorando, pensando, progettando e finalmente siamo pronti per cominciare. Il nostro primo libro digitale è ultimato e pronto per la vendita.
Si tratta del primo episodio della serie Anna dai Capelli Rossi, ovvero Anna dei Tetti Verdi, dell'autrice canadese Lucy Maud Montgomery.
In Italia Anna dai capelli rossi è conosciuta principalmente per il cartone animato, che dalla fine degli anni Settanta in poi ha affascinato migliaia di ragazzine. Ebbene, non tutti sanno che la serie animata è tratta proprio da questo primo libro, che nel 2008 ha compiuto la bellezza di 100 anni. Non male, eh?
Il Gatto e la Luna editrice lo vende in formato digitale (ovvero in pdf), tradotto in italiano e a soli 2 €.
Potete trovare tutte le informazioni per acquistarlo al nostro sito: www.ilgattoelaluna.it, nella sezione e-books
Intanto eccovi, in anteprima, i primi due capitoli, da scaricare cliccando qui!
Buona lettura!
Iscriviti a:
Post (Atom)